Ma tu te li ricordi gli arcobaleni con la scritta andrà tutto bene?
Ti ricordi che dovevamo uscirne migliori? E invece… non ne siamo ancora usciti.
Quanto ci sta allontanando questo Covid, con tutte le sue varianti?
A livello sociale è successo un fenomeno, che negli anni ‘50 gli psicologi hanno riprodotto in condizioni sperimentali, per portare alla luce nuove conoscenze sui meccanismi sociali: cioè hanno diviso un gruppo di ragazzi in due gruppi, Ingroup ed Outgroup.
Oggi tutto ciò è visibile a cielo aperto. Ci siamo schierati l’uno contro l’altro, aggrappati a degli ideali estremisti, forgiati in nome della paura. E così ogni giorno tra le strade delle grandi città, ma anche di quelle più piccole, come la mia cara Monterotondo, assistiamo a scontri tra Titani.
Ma facciamo un passo indietro. Nel 1950 Muzafer Sherif, un celebre psicologo, cercò di confutare un’ipotesi, secondo la quale la frustrazione porta all’aggressività, la quale sfocia nel pregiudizio. Per Sherif, invece, per comprendere le dinamiche intergruppo è necessario considerare le proprietà dei gruppi, ma anche le conseguenze dell’appartenenza al gruppo sui singoli individui.
Per questo motivo creò le condizioni per realizzare il suo esperimento, nel quale diversi adolescenti americani furono invitati a trascorrere due settimane in questi campi estivi, in realtà gestiti da Sherif e collaboratori.
L’esperimento prevedeva diverse fasi.
La prima fase implicava lo svolgimento di attività che coinvolgevano tutti i partecipanti.
La seconda fase consisteva nella divisione dei ragazzi in due gruppi distinti. Questo implicava la fine delle attività comuni e la separazione degli amici più stretti.
La terza fase era quella in cui veniva introdotta la competizione utilizzando premi e sanzioni. Un esempio è il torneo a premi.
Già in questa fase iniziarono ad emergere diversi aspetti salienti:
Il primo tra tutti è il rapido deterioramento delle relazioni tra i due gruppi. Iniziarono a formarsi stereotipi negativi dell’altro gruppo e a presentare ostilità.
Il secondo aspetto saliente è l’aumento di coesione all’interno di ciascun gruppo.
Infine si osservò che le tensioni tra i gruppi continuavano anche dopo la conclusione delle attività competitive.
Non ti ricorda quello che sta accadendo nella nostra società?
Le nostre distanze si sono trasformate da sociali a relazionali.
La distanza sociale nasce con un obiettivo nobile, ovvero l’idea della necessità di mantenere un distanziamento dalle altre persone per cercare di abbassare il tasso di riproducibilità del contagio e la motivazione è piuttosto intuitiva: se si entra in contatto con meno persone ci sono meno probabilità di infettare o essere infettati.
C’è però una profonda ambiguità linguistica nel concetto di distanziamento sociale: l’insistere sull’idea di distanza nel senso sociale del termine.
Infatti più che la distanza sociale è stata praticata la distanza fisica: ovvero abbiamo limitato i contatti fisici con le altre persone pur mantenendo un contatto sociale, grazie alle opportunità permesse dai social media.
Ma anche in quello spazio virtuale qualcosa è andato storto e sta diventando sempre più un campo di battaglia sul quale ferirsi a suon di commenti e cattiverie.
Il bello è che abbiamo messo in pratica tutto ciò autonomamente, come se dei valorosi topolini si immolassero di propria iniziativa in laboratorio.
Ma Sherif non creò solo il problema, si occupò soprattutto della risoluzione.
Perciò passò alla quarta fase, quella in cui è introdotto uno scopo sovraordinato per i due gruppi. In altre parole veniva individuato un obiettivo utile alla collettività. Ad esempio venne creata la condizione in cui il camion, che trasportava il cibo per il campo estivo, era rimasto impantanato. La risoluzione di questo problema, utile ad entrambi i gruppi, implicava il contributo di entrambi.
Quindi da un lato un bene comune, dall’altro la necessità di cooperare.
Sembrerebbe quindi che la competizione inneschi maggiormente il conflitto tra i gruppi, mentre gli obiettivi comuni conducano ad una cooperazione.
Cosa possiamo imparare, quindi, da questo esperimento?
Dobbiamo imparare a gestire le relazioni, capire che attraverso le relazioni possiamo diventare più umani. E che, soprattutto, la relazione non è un fatto individuale, perché la relazione è triadica, implica che ci siano almeno due persone, e che il terzo membro della relazione, sia la relazione stessa.
Quindi la prossima volta che sei vittima, carnefice o osservatore di un conflitto sociale, chiediti:
“Qual è il nostro obiettivo comune come società? E cosa posso fare io per permettere a tutti di raggiungere tale obiettivo?”
Ogni gesto, ogni piccolo dettaglio conta e offre il suo contributo. In tal senso, si può verificare un effetto “virale” e far nascere una vera e propria cooperazione.
Tedros Adhanom ha detto: “Il Covid sta mettendo alla prova la nostra solidarietà a livello politico, economico, scientifico e anche sociale. Abbiamo un nemico comune, che non conosce confini, cultura, religione e classi sociali. Ora più che mai c’è bisogno di rimanere uniti”.
La cooperazione di gruppo è l’ingrediente più potente per superare con successo le più grandi difficoltà, per reagire come un gruppo unito e non più solo come individui isolati.
Solo così andrà davvero tutto bene e torneremo a vivere d’istanti… pieni di serenità.
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Buon vento 😉
Federico Piccirilli
Psicologo, Psicoterapeuta
Terapie Brevi
Terapia a Seduta Singola
Ricevo a Monterotondo (RM) e ONLINE