Gli Altri:
quelli brutti, cattivi, che non sanno farsi i cavoli loro, che mi osservano, giudicano, criticano. Che cosa vogliono da me?
Gli Altri:
sono loro i più fortunati, certo più di me … il lavoro più facile, la casa più bella, la macchina più nuova … l’erba più verde. Dovrebbero provare a essere al mio posto!
Gli Altri:
tutti immensamente stupidi, ottusi, che si muovono in massa come un unico corpo, che hanno una sola voce, fastidiosa. Li detesto!
Gli Altri:
migliori, più belli, più sicuri. Io non posso competere.
Gli Altri:
mi toccano, mi alitano in faccia, mi starnutiscono addosso. Le loro mani e i loro fiati sono ovunque. L’unica difesa è starne lontano.
Già! Gli Altri! Avete notato quanta arroganza c’è in questa parola? Quanto egocentrismo?
“Gli Altri” si accompagna sempre alla parola, espressa o sottintesa, “Io”: “Io” e “gli altri”, come se al mondo ci fossero solo due individui
- io, ovviamente,
- e una sorta di mostro cosmico a miliardi di teste, l’entità “gli Altri”, appunto.
Gli altri sono ovunque, una sorta d’invasione di acari fastidiosi ai quali hai sviluppato una forte allergia.
Chiuso in questa convinzione che ti pone sempre al di là del fronte, solo contro tutti, anzi, solo contro quell’unico mostro tentacolare con il quale senti di non avere nulla a che spartire, ti restano due strade da scegliere:
- ti arrocchi in difesa, armato fino ai denti e ben nascosto fra le torri merlate del tuo egocentrismo,
- oppure cerchi di emulare le gesta di Ercole con l’Idra di Lerna (“e chi diamine è questa Idra di Lerna?”, chiederanno alcuni. Beh, in breve è il mostro a più teste che, quando gliene viene tagliata una, ne ricrescono due, con il sangue, l’alito e le orme letali, e il buon Ercole l’affrontò per seconda delle sue famose fatiche).
C’è però qualcosa di profondamente sbagliato. Ti lascio un po’ di tempo per pensarci, mentre leggi, … ma sono convinto che già lo sai.
L’asocialità, o fobia sociale se vogliamo darle un termine meno impattante e più tecnico, nasce da un profondo egocentrismo, che però, attenzione, non coincide necessariamente con un’alta opinione di sé, anzi, spesso nasconde una bassissima autostima.
Il punto focale resta comunque il livello d’attenzione che si concentra sempre, e progressivamente di più, sul proprio “io”. È così che crei il mostro “gli altri”, l’entità a più teste in un unico corpo.
“Io vado in macchina. Naturalmente lo faccio perché ne ho necessità: devo andare a lavorare, parto per una breve e meritata vacanza, porto i figli a scuola. Ma gli altri? Che cavolo ci fanno tutti in macchina?”
“Il posto di lavoro, o la scuola, una festa … gli altri sono fra loro coesi, ridono, scherzano, sono complici. E io non vedo l’ora che tutto finisca”
Da sempre viviamo, più o meno tutti, un conflitto con un doppio aspetto della nostra natura:
- l’essere profondamente animali sociali,
- la fortissima percezione del nostro individuo come unico.
Ciò è di per sé un bene, in quanto consente crescita e miglioramento, attraverso l’autocritica, la spinta a emergere, la sana competizione, ma solo fino a quando il limite fra sé e gli altri non diventa un muro. Allora le cose cambiano, le spinte positive si vanificano e, nell’isolamento, neppure la crescita ha più ragione d’essere.
Ma come nasce il muro? Ti svegli una mattina e lo trovi lì, pulito e fresco di calce? No, l’ha costruito meticolosamente, con fatica, mattone su mattone, “Another Brick in the Wall“, come cantavano i Pink Floyd. Il problema è che ti accorgi di quanto è solido solo quando incastri l’ultimo mattone: ti giri intorno soddisfatto ad ammirare la tua opera, e ti accorgi … che sei solo.
Finalmente solo o tristemente solo? Spesso non è altro che questione di tempo. Dapprima ti bei del nulla che ti sei fatto intorno, in cui coltivare il tuo “io” nutrendolo di glorie o tormenti, o di entrambi, poi, siccome la tua natura è inevitabilmente sociale, un bel giorno cominci a cercare di sbirciare al di là, non visto, di carpirne i suoni, e allora ti arrampichi a cercare una fessura e la gratti per allargarla con le unghie, ma ti accorgi che quel muro che hai costruito è troppo solido e alto per essere demolito con le tue sole mani. O forse se troppo stanco per affrontare quest’impresa. Già, perché per quanto la tua solitudine ti sia cara, senza “gli altri” è sterile.
Ne hai avuto di tempo per pensare, e forse cominci a capire. Ed ecco che possiamo ricollegarci a quella domanda di partenza. Dov’è l’errore?
L’errore è nella concezione del termine “gli Altri”. Non esiste, è assolutamente privo di senso. Il mostro a più teste, “gli Altri” è frutto della tua mente: là fuori ci sono semplicemente “altri io”, per i quali, paradossalmente, pure tu sei “gli Altri”. Ed ecco che ti giri intorno, non più soddisfatto ma perso, e ti rendi conto che quello che hai costruito non è un muro ma un labirinto, che si snoda attraverso miliardi di “altri io”. Non te ne eri reso conto vero?
La notizia bella è che, tastando per bene, sicuramente troverai dei punti fragili, in cui demolire è più facile, e una volta creato il varco il gioco è fatto.
Ti dirò che non è da escludersi che al di là ci sia qualcuno che ti cerca, e grattando per trovarti, già abbia fatto una buona parte di lavoro.
Inutile dirti che se hai bisogno di aiuto per trovare il punto debole del tuo muro-labirinto, o quello già scalfito da chi ti sta cercando dalla parte opposta, allora io posso picchiettare con te, e magari anche darti qualche dritta su che vento tira al di la di quei mattoni che hai eretto, … così, tanto per non farti trovare impreparato al rientro.
Ti anticipo che, seppur fra alti e bassi, è comunque un buon vento!
Federico Piccirilli
Psicologo, Psicoterapeuta
Terapia breve
Terapia a Seduta Singola
CONSIGLI DI LETTURA:
Nardone G. (2014), Paura, panico, fobie, Tea edizioni
E poi …
Leopardi G. (1835), Il passero Solitario