Nomofobia, cos’è?
In parole povere può essere definita come l’erede del “E-ti-te-le-fo-no-ca-sa” che molti di voi ricorderanno.
La pelle è grigiastra; fa venire in mente qualche cosa di dimenticato fuori frigo, “che schifo!”, e sembra pure di avvertire una punta di odore rancido.
Il collo crolla in avanti, verso un ventre un po’ flaccido e su spalle mal sviluppate, vittime di un’ingovernabile forza di gravità.
Due enormi occhi schizzano fuori dalle orbite gonfie e sembrano sul punto di spappolarsi in una detonazione.
Le gambette? Praticamente nuove di zecca, usate solo un paio di volte tanto per provarle; peccato che l’inutilizzo ne abbia inibito lo sviluppo e quindi penzolino, per niente allettanti, come vecchi stracci. Prova infatti un irrefrenabile impulso a posare le chiappe ovunque, afflosciandosi come il sacco dell’umido.
Solo una parte del suo corpiciattolo è mobile e veloce, le dita: poche, solo quelle che servono (il mignolo ad esempio, inutile propaggine, è stato brutalmente abolito), ma lunghe e iperattive. L’indice termina in una sorta di fibra ottica prensile, e fa venire in mente gli apparecchi medici che servono per indagare le parti più inaccessibili del nostro corpo durante quegli esami che finiscono in “…scopia” e ci fanno venire il groppone alla gola solo a sentirne il nome.
Sicuramente stai pensando che si tratta di E.T., l’alieno disegnato dal buon Rambaldi.
Sbagliato!
Sei tu.
Non tu “tu”. Tu, inteso come rappresentante del genere umanità in senso lato. Sei tu ma sono anche io, è il nostro vicino ma purtroppo lo sono soprattutto i nostri ragazzi.
ET siamo noi fra qualche anno. Non mi è dato sapere se il suo ideatore ne avesse coscienza ma il caso vuole che ci abbia azzeccato in pieno! Tutti chini sullo smartphone, sempre e ovunque, dalla prima infanzia alla casa di riposo per anziani, dita piccole e grassocce che sfregano e risfregano, e dita malferme deformate dall’artrite che annaspano alla ricerca dei tasti e brancolano nel buio di una galoppante presbiopia.
Erano i primi anni ’80, ben trentacinque anni fa. I telefoni , grigi e tozzi come la testa di ET, avevano ancora la ghiera rotonda e il filo che costringeva a una sorta d’immobilità durante la conversazione; comparivano le prime tastiere, che facevano rodere dall’invidia. La gente usciva con le mani in tasca e il mazzo di chiavi e basta, o al limite il giornale sotto il braccio. Poi arrivò lui, simpatico e tenero, come lo volle il suo creatore, ma impietoso nello sbatterci in faccia l’inadeguatezza del pianeta Terra, il più arretrato e primitivo nell’universo: niente connessione.
Per più di due ore il fagotto grigiastro ci smarrona con la lagna del “E-Ti-te-le-fo-no-ca-sa”, senza darsi pace, e senza darcene.
Credo che il primo impulso a creare una rete planetaria, un world wide web, sia dovuta proprio al desiderio di mettere a tacere quel tormento: “Ecco, beccati ‘sto www, basta che te ne stai un po’ zitto”.
Così è iniziata l’era di Internet, del mondo in una scatoletta, delle linee invisibili che generano contatti virtuali, del wifi che avvicina e allontana a un tempo. La colpa, e il merito, sono suoi, di E.T., il precursore di “E-ti-chat-to-casa”!
Già, questa è la grande contraddizione, il paradosso dei nostri tempi: dimostriamo uno spasmodico desiderio di contatto planetario ma ci isoliamo sempre di più.
Gli occhi bassi sullo schermo, camminiamo per strada, lavoriamo, studiamo, andiamo al ristorante, ceniamo in famiglia, persino al cinema … senza mai staccarli. Solo la mimica facciale denuncia i nostri sentimenti. C’è poi la più spassosa fra tutte le espressioni, la “faccia da panico” che, accompagnata da gesti inconsulti e frenetici di palpaggio di ogni anfratto del proprio corpo e abbigliamento, denuncia la tragedia: hai lasciato a casa il cellulare!
Si chiama nomofobia, cioè No–mo(bile)-fobia (paura), e miete più vittime della peste nera del 1300.
Ora, io capisco perfettamente lo smarrimento se la posta in gioco è di vitale importanza. Faccio un esempio: vengo colto dall’irrefrenabile desiderio di leggere il nuovo post di Federico Piccirilli, e allora giustamente vengo colto da sgomento se non ho dietro lo smartphone; più che giustificato … ma se devi stare fuori giusto quei dieci minuti per fare la spesa, ti pare possibile che tutto il mondo decida di chiamarti proprio in quel frangente?
La nomofobia cala la falce sui rapporti con gli altri, sull’umore, sulla concentrazione. Interviene un senso di smarrimento pesante come ceppi di cemento alle caviglie, hai l’impulso di correre a casa o di cercare un caricatore come se fosse il sacro Gral.
Devastante come tutte le dipendenze, dilaga ovviamente tra i giovani e gli adolescenti, e non c’è bisogno di dati ufficiali per averne conferma, basta guardarsi intorno (anche se ciò ci costringerà a sollevare la testa dal telefono!)
Non solo panico da assenza di connessione ma anche “sindrome da Capitan Uncino”, e il riferimento è palese: fare tutto con una sola mano!
Non ne sei immune neppure tu, fidati!
Alcuni banalissimi consigli che potrebbe darti pure tua nonna:
- Consapevolezza: di sé e degli altri. Non dire “io no!”, non riesci a farne a meno e allora ammettilo; guarda con giusto senso critico le teste chinate che hai intorno. Non sono altro che il tuo specchio. Ti piace? Ti sembra normale?
- Educazione. Sarà anche scontato ma è il trucco base per disintossicarti. No a tavola, no al cinema e a teatro, no a scuola. No anche per strada, in metro, sul treno, in fila alla posta, con l’amore della tua vita. Puoi ricevere una telefonata, se è di importanza vitale, ma deve finire lì.
- Dialogo. Chiedi un’informazione, scambia due parole, anche con gli sconosciuti. Le occasioni sono infinite e prenderai i classici due piccioni con una fava, perché sarete almeno in due a sollevare la testa.
- Unicità. “Ma gli altri non lo fanno!” , fregatene, distinguiti. Sei unico e vanne orgoglioso.
- Amor proprio. Vuoi la gobba, il doppio mento e l’occhio a palla? Ci tieni alla pelle quando attraversi la strada? Lo sai che in auto servono entrambe le mani e occhi e mente puntati alla strada? Non ti interessa che i tuoi neuroni cuociano come le lasagne in forno? Fatti coraggio e leggi questo rapporto, se vuoi avere un’idea un po’ più precisa.
- Compra una sveglia. Di quelle da quattro soldi, con le pile e il quadrante che si illumina, che emettono il maledetto e classico “driiinnn”. Evita che sia il cellulare a buttarti giù dal letto.
- Intimità. Ci sono momenti in cui è necessario, e auspicabile, essere soli. Serve anche per pensare (non avete idea di quante idee che hanno rivoluzionato la storia siano state concepite in quei frangenti!). Evita di provvedere alle tue necessità fisiologiche e di igiene in compagnia del //www, o dell’#.
- Conta le pecore. A mente, “una, due, tre, … millecento”. Il fatto che esistano App pure per lasciarci andare a Morfeo dimostra più di mille parole quanto stiamo cadendo nel patetico. Inoltre è dimostrato come la qualità del sonno peggiori se non si tiene a debita distanza il cellulare.
- Tutela i tuoi figli. Poni delle regole, per il loro bene innanzitutto ma anche per il tuo; infatti sarai costretto a dare loro il classico “buon esempio”. Ricorda che anche una furibonda discussione a tavola è preferibile a una famiglia di automi intenti a sfregare i cavoli propri su di uno schermo limitando il dialogo al “mi passi il sale”.
Sono assolutamente sicuro che, anche grazie a questa semplicissima guida, puoi farcela benissimo da solo; oltretutto mi sembrerebbe contraddittorio adesso dirti di chiamarmi su Skype, … però, se senti che la dipendenza sta diventando un problema (e il giudice migliore sei tu!), fallo! Fallo subito soprattutto se la posta in gioco è tuo figlio.
C’è infatti un aspetto collegato alla dipendenza da cellulare, estremamente delicato, e che affronterò con il dettaglio che merita in un prossimo post, che getta un velo tetro sulla vita privata e sociale degli adolescenti, e che va al di là degli eventuali danni fisici e cerebrali: il cyberbullismo.
Anticipo solo che è il più infido e vigliacco degli attacchi, il più difficile da percepire anche per il più attento dei genitori, quello che non prevede possibilità di riparo alcuno, che non concede tregua, che rosicchia come un tarlo la vita dei ragazzi.
Come capirlo? Quali indizi? Quali rischi? Cosa fare?
Ne parleremo, e ampiamente. Per il momento lavora su te stesso, anche con il mio appoggio, se ti va.
Inumidisci il dito e sollevalo verso il cielo … sentirai da che parte soffia il vento, e sarà anche un’occasione per osservare tanto il cielo che il tuo dito.
Ti accorgerai che da qualunque parte venga, è sempre e comunque un Buon vento!
Ecco, ora puoi riabbassarlo per iscriverti alla newsletter, se ancora non lo hai fatto.
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Dimenticavo … escludendo i momenti in cui ti svegli, vai in bagno, sei a tavola, guidi, cammini per strada, lavori, studi, sei al cinema, guardi negli occhi tuoi figlio, o tuo padre, ascolti il vento con il dito, … ritagliati qualche minuto per dare un’occhiata a questi link:
http://www.techeconomy.it/2015/07/17/sempre-dipendenti-dal-mobile-i-dati-flurry/