Colgo questo spazio per raccontare come ho affrontato una questione, non di vitale importanza per me che sono non tifoso, ma che in molte famiglie avrebbe aperto “ferite profonde”… ovviamente sto estremizzando, ma poi neanche troppo considerando che la fede, anche se calcistica, per molte persone è un vero e proprio modello di vita.
Mi fa piacere condividerla perchè penso possa essere uno spunto di riflessione di come alcuni interventi educativi, potrebbero essere agiti praticando la congiura del silenzio.
Vale a dire non fare niente?!?Non proprio!
Utilizzando un’arte marziale, il Judo, potremmo parlare di un atteggiamento educativo improntato proprio alla traduzione del termine “Judo” vale a dire Via della Cedevolezza o dell’adattabilità o della gentilezza.
Insomma usare la forza della persona assecondando il suo andare piuttosto che contrastare od opporsi o cercare a tutti i costi di spostarla con la forza o la prepotenza.
In altri termini adeguarsi alla forza avversaria al fine di ottenere il pieno controllo.
Tornando ad esempio al Judo se un avversario dovesse spingermi con una certa forza, non dovrò contrastarlo, ma adeguarmi alla sua azione e, avvalendomi proprio della sua forza, attirarlo a me facendogli piegare il corpo in avanti.
Ma tornando a noi… fino a circa una decina di anni fa ero tifoso di una squadra di calcio, che seguivo con passione, senza essere mai diventato un fondamentalista.
Decisi ad un certo punto della mia vita di dedicarmi tempo e spazio non volendo più avere vincoli domenicali o infrasettimanali, ergo pian piano smisi di seguire la squadra che fin da bambino avevo scelto di tifare.
Nel frattempo nella mia vita ci furono diversi accadimenti, uno su tutti la nascita del mio primo figlio.
Cominciai cosi la mia avventura di padre, con gli alti e bassi caratterizzanti questo complesso ruolo.
Mio figlio cresceva, fino ad arrivare un giorno a dichiarare di aver scelto di diventare un tifoso di calcio, non di una squadra qualsiasi ma proprio della squadra avversaria per antonomasia della squadra alla quale ero stato legato io.
Ci vuole calma e sangue freddo… accettai la notizia e, nonostante gli sfottò di amici e conoscenti, mantenni la calma, assecondando il suo essere tifoso di una squadra, seppur mai avrei “desiderato” (ed in cuor mio condiviso) questa scelta.
Decisi di assecondarlo, senza mai fare nessuna mossa tesa a fargli cambiare idea, anzi tornando alla congiura del silenzio non ho mai intavolato con lui discussioni calcistiche, sottolineato sconfitte della sua squadra, osannato dall’altro lato la squadra della quale ero tifoso.
Il tempo passava, ero fiducioso (anche se so che serenamente avrei dovuto accettare le sue scelte, ma ancora non sono pronto ad una condizione mentale vicina al nirvana), ma lui teneva il punto, tanto da sfidarmi (parlo di partire alla play station non immaginate altre sfide educative…) e battermi più volte, magnificando sempre di più la sua squadra del cuore.
Ma come lui teneva il punto così io mantenevo la congiura… fino a quando un giorno qualunque di una settimana qualunque si presentò a studio per farmi un saluto e avvicinandosi per darmi un bacio mi sussurrò una frase all’orecchio che più o meno suonava così:
“Adesso possiamo andare allo stadio insieme, ho cambiato squadra, ho scelto la tua!“.
Chiaramente l’ho invitato a ripensarci, ma purtroppo o per fortuna, senza esito.
Queste righe non dimostrano o si rifanno a metodologie scientifiche o a verità assolute ma raccontano un’esperienza che nella sua banalità (per chi la legge non certo per chi la scrive) rappresenta un ottimo stratagemma con cui fronteggiare alcune criticità (questa non lo era ovviamente), facendo riflettere sulla considerazione che opporsi, contrastare, obbligare in un contesto educativo non dia grandi risultati.
E’ chiaro che il cambiamento maturato possa essere dovuto a diverse motivazioni (una partita persa, un voler compiacere il papà o semplicemente trovare una scusa per andare allo stadio insieme) ma mi piace immaginare e dare il merito al come in questa situazione ho deciso di fronteggiare la situazione: congiura del silenzio.
Un pò come sosteneva K. Gibran “ho piantato il mio dolore nel campo della pazienza, mi ha dato il frutto della felicità“.
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Buon Vento e…
ci vediamo allo stadio!
Federico Piccirilli
Psicologo e Psicoterapeuta
Esperto in Psicoterapia Breve