“Si vis pacem, para bellum” dicevano i latini, ma è davvero così? Davvero possiamo raggiungere la pace solo attraverso la guerra?
Le tv non parlano d’altro in questi giorni, ma non solo le tv, anche i nostri amati social sono ricolmi di notizie sulla guerra e il grido di protesta verso lo scempio al quale stiamo assistendo è sempre più forte. Le piazze sono brulicanti di persone che implorano la pace, anche la mia Monterotondo si è unita allo stesso richiamo.
Ma cosa accade all’interno di ognuno di noi?
Dopo due anni di incertezze per il futuro legati alla pandemia, ci troviamo di fronte ad un nuovo allarme, non sappiamo ancora se l’altra emergenza si sia davvero estinta o meno e già dobbiamo fronteggiarne un’altra.
Incertezza, paura e sconforto sono le parole che più risuonano in questi giorni, ma soprattutto a pervaderci è sempre lei: l’ansia, protagonista indiscussa che ci invita ad ascoltare compulsivamente ogni nuova notizia, oppure che, al contrario, ci costringe ad alienarci da questa terribile realtà.
Ormai le conosciamo le risposte (disfunzionali) dell’ansia, ma soprattutto sappiamo che l’ansia viene attivata dalla paura che qualcosa di pericoloso e sconosciuto potrebbe verificarsi in futuro o dalla possibilità che alcuni nostri obiettivi vengano messi a repentaglio.
Toccherà anche a noi? E se perdessimo anche noi tutto? E se domani quello scenario fosse proprio alla nostra finestra? Queste ed altre domande risuonano nella nostra testa.
Ma tutto ciò non genera solo ansie e dubbi patologici, la guerra provoca anche altri effetti rilevanti sulla psiche, sia per chi la combatte e la vive direttamente sia per chi la esperisce di riflesso.
Tra le difficoltà psicologiche è possibile citare insonnia, incubi, depressione, problemi di memoria e concentrazione, flashback visivi e sonori.
In questa situazione paradossale ci sentiamo quasi immobilizzati in una realtà confusa. D’altronde Maslow ce lo aveva detto, i nostri bisogni sono gerarchici, alla base abbiamo quelli fisiologici, la vertice invece abbiamo quelli basati sul senso di autorealizzazione. Non si può salire al vertice, se manca la base, quindi quando i bisogni di base sono messi in discussione sarà impossibile, o molto faticoso, dedicarsi a quelli più in alto, per questo ci sentiamo tutti immobilizzati.
Non eravamo preparati, nessuno può essere preparato a qualcosa di simile, soprattutto dopo tutti questi anni di dura lotta per costruire i capisaldi della nostra umanità.
Probabilmente a molti imprevisti, individuali e sociali, della nostra vita non eravamo preparati, eppure, nessuno ci ha tolto ancora una delle più importanti risorse che abbiamo: la speranza.
Non parlo di una speranza astratta, della speranza che magicamente tutto passi senza far nulla, ma della speranza che si coniuga con l’azione e che diventa concretezza.
Quindi anima la tua speranza e rendila azione, chiediti: “Cosa posso fare affinché la mia speranza diventi qualcosa di realizzabile?”.
Ovviamente controlla ciò che puoi controllare. Concentrati quindi su ciò che invece è alla tua portata, impegnandoti a essere parte attiva nella tua vita quotidiana.
E ricorda: non tutto è sulle tue spalle, la tua azione è importante, ma ovviamente non può essere tutto. Quindi non sopportare carichi più pesanti di quelli che puoi supportare.
Siamo parte di una società, nella quale l’uno deve educare l’altro. Come diceva Maria Montessori: “Tutti parlano di pace ma nessuno educa alla pace. A questo mondo, si educa per la competizione, e la competizione è l’inizio di ogni guerra”.
Infine qualora ti accorgessi che tutto ciò inizia ad essere troppo pesante da reggere, e che anche le piccole azioni quotidiane sono troppo faticose da portare a termine, ricordati che puoi chiedere un supporto psicologico, per affrontare questo periodo così difficile.
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Buon vento 😉
Federico Piccirilli
Psicologo, Psicoterapeuta
Terapie Brevi
Terapia a Seduta Singola
Ricevo a Monterotondo (RM) e ONLINE