Romperesti una finestra?

Scusa, me lo faresti un favore?
Ok. Allora, dovresti uscire di casa, o dal luogo dove lavori, piazzarti di fronte al palazzo che è di fronte e rompere una finestra con una sassata.
No, aspetta a chiamare la neuro.
Fai conto che non sia io a chiedertelo, che per quanto possa ormai fra di noi esserci una certa familiarità resto pur sempre un estraneo, ma qualcuno a cui tieni particolarmente: l’amore della tua vita, un figlio, una sorella.
Ebbene, non c’è parentela che tenga. Statisticamente, la percentuale di coloro che sono disposti a farlo è talmente bassa da essere considerata trascurabile. Giusto qualche ardore adolescenziale carico di ormoni, con una buona dose di tragedia shakespeariana nel DNA, disposto a tutto, anche al sacrificio estremo, figuriamoci a tirare un sasso!

Per il resto, la risposta viene accompagnata dal gesto eloquente dell’ombrello, oppure, in versione raffinata, dal picchiettarsi la fronte con la punta dell’indice, sconvolti.

Verbalmente, la faccenda viene liquidata con un ventaglio di frasi più o meno di questo tenore:
Ma che sei scemo?
Cosa ti sei fumato?
Ti ha dato di volta il cervello?
Cooosa? Ma vedi d’annaaffn … bip! (ho scritto giusto la scorsa settimana a proposito dell’uso di queste parole).
Scommetto che di fronte alla tua casa, all’ufficio o dovunque tu ti trovi, si trovi un edificio “normale”, inteso nel senso che rientra nei consueti canoni di normalità abitativa. Non bella, brutta, liberty, barocca, moderna, popolare, non disabitata, non abitata; una casa, semplicemente una casa, sostanzialmente integra.

 

Immagina ora che ti venga fatta la medesima richiesta, “Per favore, potresti rompere una finestra?”, ma che davanti a te ci fosse una casa con tutte, o buona parte delle finestre, rotte.
La percentuale sale vertiginosamente. Là dove ci sono molti vetri rotti,
diventa facile romperne un altro.
Siamo partiti dal paradosso per arrivare alla quotidianità.
Non hai l’indole del teppista. È piuttosto improbabile che tu esca di casa per andare a rompere una finestra (a meno che non sia quella di tua suocera che ha appena annunciato che verrà a vivere da voi. Tale circostanza non configura però un caso psicologico, ma di legittima difesa secca!).

 

Sei disposto a giurarci? Ci metteresti la classica mano sul fuoco?
Beh, non ti conviene.
Il “fenomeno delle finestre rotte” è un fenomeno, appunto, che riguarda la psicologia di massa.
Ha un altro affascinantissimo nome, “Effetto Lucifero”. Si riferisce alla propensione a compiere atti scorretti e criminosi se altri li hanno già compiuti.

La molla è la convinzione che l’azione resti impunita, dal momento che già molti altri l’hanno commessa.
Oh, no! A me non può succedere!
Lo so che lo stai pensando.
Eppure un mio illustrissimo collega americano, il geniale psicologo Philip Zimbardo, mise in scena un esperimento ormai diventato storico.
Piazzò un’automobile, evidentemente abbandonata, con il cofano aperto e senza targa, in due aree urbane decisamente opposte, il Bronx, che immagino non abbia bisogno di presentazione anche in virtù dell’abbondante filmografia, e Palo Alto, una raffinata città californiana, gravitante nell’area della Silicon Valley, tecnologica, universitaria, colta e ricca.

Se volessimo “romanizzare” l’esperimento rendendolo robba de noj artrj, sarebbe un Tor Vergata Vs Parioli, per intenderci.


In capo a mezz’ora, l’auto abbandonata nel Bronx non aveva più neppure la leva del cambio al suo posto. Fra un colpo di spranga e l’altro, c’era chi si fregava un sedile, chi sradicava il volante, chi le ruote, e poi pure chi pensava di concludere la festa con un bel rogo.
Ovviamente a Palo Alto questo non successe. La gente passava accanto all’auto come se nulla fosse stato. Massimo massimo, una sbirciatina interrogativa, per poi tirare dritto. Questo fino a che Zimbardo in persona non assestò una martellata al vetro della portiera. Fu come il fischio di via a una gara di corsa.

In parecchi, tutti insospettabili e impomatati, a differenza dei “coatti” del Bronx in pelle e catenazze, si misero a saccheggiarla e prenderla a mazzate.
L’esperimento, degli anni ’60, introduce un suo ampio e inquietante sviluppo di qualche anno più tardi, 1971 per la precisione, quanto il professore mette in atto l’Esperimento di Stanford, che lo ha reso famoso in tutto il mondo per aver rivoluzionato le teorie sul comportamento umano. Non ve ne parlerò adesso. È un argomento troppo ampio e delicato per essere liquidato in poche battute; quello che invece mi preme evidenziare è l’innegabile fascino emulativo nei confronti di ciò che è sbagliato.


È un meccanismo che coinvolge e attira come in una calamita tutti noi, anche nelle semplici azioni quotidiane.
Escludendo lo sfasciare vetrine e automobili, tanto quanto il trasformarci in carnefici (mi riferisco all’esperimento di Stanford, che magari una delle prossime volte vi spiegherò), ci lasciamo comunque andare, spesso inconsapevolmente, a comportamenti fortemente scorretti:
– camminando su di una strada molto sporca, ci viene facile buttare a nostra volta a terra la carta della caramella;
– in un contesto dove tutti sparlano e ridono di un assente, siamo tentati di dare anche il nostro patetico contributo;
– se mio padre, mia sorella, lasciano i calzini in giro perché tanto mamma li raccatta, beh, ce li lascio pure io;
– se al centro di una sala c’è un vaso pieno di caramelle e tutti passando ne afferrano una manciata, anche se da nessuna parte c’è scritto che sono a libero assaggio, me ne faccio un paio di – manciate pure io;
– su di un banco scarabocchiato e inciso, viene facile scarabocchiare e incidere.
Calato nel quotidiano, è questo più o meno l’effetto “finestre rotte”.
C’è un teppista dormiente in ognuno di noi? Una spranga di ferro nascosta in ogni valigetta professionale griffata? Una canottiera traforata sotto alla meglio stirata camicia?O forse è che più vero che è la circostanza a fare il cattivo?

Cattivi non si nasce, si diventa.


A questo tende l’esperimento. Esso è stato confutato più volte, e continua, nell’ambito accademico, a suscitare polemiche e sollevare smentite.
Tuttavia è innegabile dire che l’effetto finestre rotte è alla base del bullismo e di tutte le violenze di gruppo.
Nessuno è immune dal germe della cattiveria. In determinati contesti, sociali, economici, psicologici, chiunque è potenzialmente crudele, capace di fare del male, e assolutamente diverso da quel se stesso conosciuto.
Non dunque cromosomi, ma fattori ambientali e psicologici.
La letteratura lo aveva scoperto sin da prima della psicologia, e pure la religione con il suo monito a non “cadere in tentazione”.
“Homo homini lupus”. È di Plauto, un commediografo latino decisamente fuori dalle righe; una sorta di Zimbardo ante litteram, creatore di Sosia e immenso vulcano di idee per la psicologia dei secoli a venire.
L’uomo ha una naturale propensione alla sopraffazione dei suoi simili, e un istinto crudele.
L’uomo sì. Il dubbio che mi resta è sull’effettiva correttezza del paragone: il lupo non è altro che l’espressione di uno stereotipo. Ma questa è un’altra storia.
Cosa ne pensi?
La romperesti quella finestra? Fammelo sapere.
Buon vento

Federico Piccirilli

Psicologo, Psicoterapeuta

Terapie Brevi

Terapia a Seduta Singola

Ricevo a Monterotondo (RM), Fonte Nuova (RM) e Online

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