Psicoach? Suona bene. Che ne dite, cambio lavoro?
Chi è lo psicoach?
Beh, in fondo è sempre lo stesso psicologo, psicoterapeuta, solo … più fico.
Del resto il Coach è fico per definizione, liscio come una pesca, lucido, vestito alla moda, affascinante, guizzante di muscoli e tendini, che poi stiano sui bicipiti, sui dorsali, sugli addominali, oppure a livello dei lobi temporali o frontali, è solo un dettaglio.
L’idea non è mia, ma non nascondo che mi piace. Mi piace come mi piace ogni innovazione che porti con sé un carico di frizzante positività, di aria nuova. Mica ho scelto “buon vento” come motto a caso!
L’idea mi è arrivata per lettera, quale risposta a una domanda espressa nell’articolo “Psicologi senza divano” che, per chiarezza, v’invito a rileggere:
“Perché se il problema è invece nella mente, con te stesso, le provi tutte invece che affidarti, come sarebbe logico, a uno psicologo?”
La domanda partiva dalla considerazione che se per sistemare un dente si va dal dentista e per aggiustare la macchina dal meccanico, e ci viene spontaneo seguire queste strade che sono semplicemente logiche, perché siamo così restii a rivolgerci a un professionista della psiche quando il problema è proprio nella psiche?
Fra le diverse risposte, tutte interessanti, questa che accenna alla figura del “Coach” per la mente, è indubbiamente alquanto creativa e stimolante. In realtà il suggerimento è decisamente più raffinato ed elegante: “Life-Coach”, propone la lettrice. Sicuramente vincente su di un panorama più vasto, tuttavia non ho potuto fare a meno di notare quella che mi pare quasi essere una talea, “Coach”, nella solida radice “psicologo” … “psic … oach”. Confesso che, da buon romanaccio, ho dovuto trattenermi per non sparare un bel “Coach de noj artri, de la borgata nostra”, anche se ho ragione di credere che a Monterotondo riscuoterebbe un ottimo successo.
Carissima (mi rivolgo ovviamente all’autrice, che lascio anonima per rispetto della privacy), hai colto perfettamente nel segno. Nei confronti dello psicologo, e “ancor più psicoterapeuta” come precisi, si scatena una serie di reazioni istintive e ataviche che si ergono a barriera fino a impedire un sereno e normale approccio. Una barriera in verità non impossibile da superare, ma un po’ rognosa, così che alla fine si decide di lasciare perdere.
- Il primo e più palese impedimento è la vergogna, l’onta, la lettera scarlatta cucita sul petto.
Lo psicologo barra psicoterapeuta, viaggia sulla stessa sorte dell’andrologo, del ginecologo (anche se parecchio più marginalmente perché le donne sono più furbe!), del proctologo.
“Ciao, ci vediamo domani?”
“No, mi spiace. Ho una visita dall’ortopedico. Sai … quel problemino al ginocchio …”
Ordinaria amministrazione, nulla di speciale. Prova però a sostituire ortopedico con proctologo e ne riparliamo … forse uno su cento lo direbbe senza problemi! Ma non ci metterei le mani sul fuoco, come diceva mia nonna rievocando Muzio Scevola.
Ci trasciniamo addosso montagne di pregiudizi, di complessi, di luoghi comuni.
Lo psicologo è ancora nell’immaginario comune nascosto e taciuto, roba per matti, per fuori di testa, per deboli, ben che vada per depressi. Come dice la mia carissima lettrice, comunque per falliti, sfigati, insomma per coloro che da soli non ce la fanno e quindi falliscono nella loro più intima e personale sfida.
Relativamente all’imbarazzo, sostituire “il mio psicologo” con “il mio Life-coach”, oppure “il mio psic-oach” potrebbe risultare utile, soprattutto a livello di impatto verbale con gli altri.
- Il secondo è la paura.
Per riconoscerlo serve un po’ più di sincerità. In realtà la paura rappresenta un inconscio passo avanti in quanto presuppone il germe della consapevolezza, che scusate ma non è poco!
“il temine ‘psicologo’ e ancor più ‘psicoterapeuta’ sono intimidatori e ci ricordano automaticamente che c’è qualcosa di sbagliato nel nostro cervello, la parte di noi a cui siamo abituati a dare più valore.” (mi permetto di sintetizzare in questa frase il concetto ampiamente espresso nella lettera).
Avvertire che c’è in noi qualcosa di sbagliato, significa affrontare un IO che ci fa paura quanto un estraneo che s’intrufola nel letto. Aggiungerei alla paura anche la sensazione del fastidio, della diffidenza, che comunque si leggono chiaramente fra le righe della lettera.
Quanto può essere rassicurante parlare di Life-coach? Sinceramente in questo caso sono un po’ più titubante. Mi ricorda l’abitudine di tirare avanti di una decina di minuti l’orologio per non arrivare in ritardo oppure il togliersi il doppio mento da un selfie attraverso un’app e poi crederci. Insomma, mi sembra un po’ un’auto presa per i fondelli.
- C’è un terzo ostacolo individuato: la diffidenza.
Qui entriamo in un campo spinoso e difficile.
“ … il rischio di buttare tempo e denaro senza risolvere nulla è ancora alto, credo più alto che in qualsiasi altro servizio”, così scrive la mia lettrice. E ancora una volta non posso darle torto a priori. Altrettanto vero è che “la psicologia non è una scienza esatta”; preciserei però che ben poche lo sono, anzi nessuna se vogliamo dare credito a Einstein (e sinceramente come possiamo non farlo!), neppure la matematica e la fisica.
Il punto di partenza è l’esperienza personale, che quando è cattiva tende a condizionare pesantemente il giudizio complessivo. La risposta è invece nei due punti precedenti. Se infatti mi si stacca la capsula che ho pagato soldoni, per incompetenza del dentista oppure per semplice errore (perché non dobbiamo dimenticare che esiste anche quello), magari m’incazzo, ma poi vado da un altro. Questo perché do il giusto valore, estetico e funzionale, alla mia dentatura.
Se invece mi capita con lo psicologo, mando tutto a forfait. Perché? Perché tutto sommato continuo a percepire quell’IO che mi dà problemi come un estraneo fastidioso e imbarazzante, del quale non riesco a sbarazzarmi ma che tutto sommato posso provare a chiudere nel fondo di un armadio credendo di poterne ignorare il martellante bussare.
La diffidenza nasce dall’idea – errata –che tutto sommato non sia poi così necessario curarsi del proprio IO, e in quest’ottica il mutare nome allo specialista mi pare un dettaglio superfluo.
Per riassumere:
la vergogna, la paura e la diffidenza sono, più che reali ostacoli, scuse di comodo per evitare di dialogare con sé stessi.
Quanto all’idea del “Life-Coach”, o “Psic-oach” come l’ho ribattezzato io …
… mi piace in quanto introdurrebbe finalmente una funzionalità talmente trascurata da essere ignorata: per occuparsi del proprio IO non è necessario che ci siano dei problemi, dei dolori, delle patologie. Il Coach in fondo serve proprio a questo, a mantenere, rinforzare, abbellire, migliorare, ringiovanire un qualcosa a cui teniamo parecchio.
Siamo fatti di organi che non avvertiamo. Non sentiamo le orecchie, il ginocchio, la milza, il cuore o l’epidermide se non quando hanno problemi. Questo tuttavia non c’impedisce di occuparcene, a scopo esteriore, interiore ma anche preventivo, in modo da non doverne avere fastidio in futuro causa trascuratezza. A questo servono l’attività fisica, la corretta alimentazione, la cura estetica.
Se dire “Life-Coach”, o “Psic-oach” serve a liberare dalle catene questo tipo di approccio, ben venga. Occuparsi della salute della propria mente fin da quando essa è sana, dovrebbe diventare un’abitudine e una consuetudine da inserire in agenda, anche indipendentemente dal termine usato: sabato fitness, domenica trekking, martedì palestra, giovedì Life-Coach/Psic-oach/Psicoterapeuta.
La psicoterapia come metodo, e non solo come cura magari quando il piccolo problema si è trasformato in cancrena a causa dei tre ostacoli sopra esposti.
Però, e non me ne voglia la carissima lettrice, che ringrazio ancora per lo spunto offerto con tanta intelligenza e garbo, ho almeno un paio di buoni motivi per propendere per il no.
Il primo lo riassumerei dicendo che la sostituzione lessicale e fonetica mi pare un po’ un fallimento nei confronti della lotta al pregiudizio. Il problema non è la parola, ma il pensiero. La soluzione sarebbe dunque solo temporanea, fino cioè a quando la novità non diventa abitudine, poi torniamo da capo. Allontanando invece il pregiudizio, si scacciano gli ostacoli: vergogna, paura, diffidenza.
Ma c’è un motivo più intimo.
A ben vedere la parola “psicologo” mi piace tantissimo. Come ho già avuto modo di ripetere più volte significa semplicemente “colui che dialoga sulla psiche”. Me lo sento addosso cucito come un’etichetta di garanzia di confezionamento e materiali a regola d’arte.
“Psicoterapeuta” mi piace ancora di più, per via di quel suffisso da “terapia” che mi restituisce l’idea si qualcosa di estremamente rilassante, benefico: dal greco “therapeia”, ovvero cura, guarigione. Attenzione, non “cura” ma “cura come guarigione”, tant’è che è diventata sinonimo di piacevolezza, coccola. “Terapia” si allontana dagli standard medici e scientifici per avvicinarsi a un concetto più istintivo ed emozionale che “non solo cura ma ha cura”.
Sì, “colui che dialoga di psiche” e “colui che si prende cura della psiche” ma sembrano talmente fichi che non c’è lotta.
Altrettanto fico ritengo sia il rivolgersi a tale figura professionale senza dover aspettare di non vedere alternative.
“… ho aspettato molto, più di 15 anni prima di essere ‘costretta’ a farlo , quando non c’era più letteralmente nulla da perdere. … Perché non l’ho fatto prima?”
“Forse mi sarei potuta risparmiare molta sofferenza e anche avrei potuto avere più controllo sulla mia vita”.
Risposta esatta. Risposta che assesta un calcio nel culo di pregiudizio, vergogna, paura e diffidenza, scaraventandoli tutti e quattro fra i rovi. Questa è la forza della psicoterapia, questa è la missione dello psicologo: non arrendersi neppure di fronte al disastro. Non esiste alternativa alla propria mente, ed essa non è l’araba fenice che risorge dalle sue ceneri.
Quando arrivi dal dentista con una carie di quindici anni può metterti una protesi, quando arrivi dal meccanico con le pastiglie dei freni all’osso, te le cambia. Persino un cuore malato può essere trapiantato. Di psiche invece ne hai una sola, insostituibile, irriproducibile. Averne cura non solo è fico, ma soprattutto è logico e normale.
Vi aspetto a Monterodonto, e se preferite chiamarmi Life-Coach o Psic-oach, fate pure.
Ciò che chiamiamo rosa anche con un altro nome conserva sempre il suo profumo. [Giulietta: atto II, scena II]
… l’importante è che profumi. L’importante è averne cura.
Buon vento.
Federico Piccirilli
Psicologo, Psicoterapeuta
Terapie Brevi
Terapia a Seduta Singola
Ricevo a Monterotondo (RM), Fomte Nuova (RM) e ONLINE