Oggi vi chiedo di giocare di fantasia. Lo faccio spesso in realtà, ogni psicologo lo fa, ma lo sforzo che vi chiedo oggi è quello di dare un percorso immaginario alla vita. Roba grossa, quindi.
Però aspettate a partire in quarta, perché in questo gioco vi è una prima fondamentale regola da rispettare: la vostra immaginaria strada da percorrere deve presentare delle situazioni di “pericolo/rischio”. Mi spiego con alcuni esempi.
- La cresta di una montagna con pareti scoscese ai lati;
- il camminamento di una diga;
- un filo da equilibrista teso sopra qualcosa (un fiume, una strada);
- un palcoscenico piuttosto scivoloso sul quale ballare;
- ma anche, perché no, una semplicissima strada, una delle tante che circondano casa nostra.
Insomma, largo all’immaginazione!
C’è poi una seconda regola: il fattore “pericolo/rischio” non deve essere letale, ovvero deve presentare la possibilità di una via d’uscita, deve quindi prevedere la salvezza, perché è chiaro che altrimenti la caduta dal precipizio metterebbe fine al gioco, e soprattutto allo scopo!
Una prima constatazione riguarda il fatto che ciascuno immaginerà il proprio percorso adattandolo alla propria personalità. L’amante della natura e dei grandi spazi silenziosi, camminerà lungo la cresta di una montagna; l’artista, il sognatore, procederà sul filo da equilibrista al suono di un violino, oppure danzerà su di un palcoscenico; l’amante dell’avventura attraverserà un ponte tibetano sospeso su di un baratro verde smeraldo.
Chi sceglierà un semplice marciapiedi accanto al traffico? Probabilmente solo qualcuno che si guarda intorno e ritiene che la quotidianità sia già abbastanza avventurosa di suo e non ha tutti i torti!
Ora però andiamo avanti.
Immagina di camminare per il percorso che ti sei scelto. È la vita, semplicemente la vita che procede, va avanti
A un certo punto succede qualcosa, e scivoli.
Scivoli e cadi. Finisci culo a terra. Sei solo, ai piedi del dirupo della montagna, dove alla tua voce risponde solo l’eco; oppure resti appeso al filo o al ponte tibetano, con le gambette che annaspano. O ancora te ne stai a terra, sul linoleum del palco e il riflettore puntato addosso, con il pubblico che trattiene il fiato dopo un lungo e imbarazzante “Ohhhhh!”.
Se poi sei caduto lungo il marciapiedi, o attraversando la strada, ci sarà chi frena, chi ti allunga una mano per farti rialzare.
Vento, aria, suoni … tutti quei fattori dei quali prima neppure ti rendevi conto, ora te li senti premere addosso, diventare nemici, pesanti, ostacoli.
Tutto chiaro? Riesci a immaginarti in questa situazione?
Bene. È giunto il momento di agire. Come? Riappropriandoti della tua strada!
Hai due possibilità di reazione:
REAZIONE N° 1
Ti soffermi a pensare a cosa è successo.
Hai sbagliato qualcosa nel fare il passo? Hai messo male il piede? Quando è accaduto? Perché è successo. Potevi evitarlo? La causa è da ricercarsi in un fattore esterno che ha minato la tua stabilità? Un’asperità nel terreno, un indebolimento del filo, una piega sul palcoscenico oppure una delle strafamose buche di Roma (qui, a Monterotondo, in realtà non ce ne sono moltissime ma solo molte)?
Colpe! È tutto un giro di colpe: c’è chi non ha fatto manutenzione, oppure un qualche avversario che ti ha teso un tranello, o tu stesso che ti sei distratto, mannaggia!
Ripensi a quello che stavi facendo, pensando, cerchi di ricostruire, di portare in superficie un qualche particolare solo apparentemente insignificante. Cercando di scovare l’istante preciso dell’errore e la sua causa, miri a non farlo ripetere in futuro. Eccellente strategia però … il tempo passa, e mentre tu reciti il mea/sua/tua/loro culpa, si fa buio, e la risalita più difficile.
Pensa se poi senti arrivare qualcuno. Finalmente! Una voce: «Dove sei?»
«Qua sotto. Aiutami!»
«Ok, arrivo. Ma … perché è successo? Come hai fatto a cadere? Se avessi fatto attenzione …»
E il tempo ancora scorre, e tu sei ancora lì, fermo, sul fondo. Magari sei pure riuscito a capire da dove sia partito l’errore, ma ormai è notte, per la miseria, stai morendo di freddo, hai fame, sete, ti senti debole e la risalita sembra un’impresa titanica.
REAZIONE N° 2
Ti rialzi, cerchi la via più facile e breve, risali.
Ecco. Quello che ho appena illustrato è la psicoterapia breve.
Il fatto di ripartire dal cercare la soluzione più rapida e immediata, non preclude per niente la ricerca delle possibili cause, che potrebbe (non è sempre cosi) risultare assai utile per non commettere l’errore in futuro.
Del resto questa strategia è pluricollaudata nella vita di tutti i giorni. quale ballerino, quale escursionista, quale equilibrista, quale pedone, cadendo, non penserebbe a rialzarsi immediatamente?
Perché allora la nostra mente dovrebbe essere dissimile?
Non esiste baratro dal quale non si riesca a scorgere il chiarore del cielo.
Allora, se puoi, cerca di uscirne immediatamente fuori, senza perdere tempo; se non ci riesci, chiama, chiedi aiuto, e cerca chi ti tenda una mano solida per trascinarti di nuovo nella luce. Una volta fuori, ne avremo di tempo per parlare!
A presto, e buon vento.
Federico Piccirilli
Psicologo, Psicoterapeuta
Terapie brevi
Terapia a Seduta Singola
Ricevo a Monterotondo (RM), Fonte Nuova (RM) e Online