Capita che arrivi nella vita quel momento in cui conti meno del due di picche.
Improvvisamente scompari, anzi, vorresti scomparire, perché nessuno più ti si fila, neppure tua madre, e ti senti di troppo, un inutile fardello.
Può durare dai due ai tre anni, talvolta anche un po’ di più, e inizia con un banalissimo e dolcissimo annuncio: “Amore, saremo in tre”.
Depressione “post partum”? Sì, ma dal punto di vista del co-attore del partum; non solo “post”… ma anche “pre” e “inter” partum.
Ebbene sì, gentili signore, da che mondo è mondo perché voi possiate diventare delle splendide puerpere c’è bisogno di qualcuno che vi metta in tale condizione.
Siete sicure di avere ben presente questo fatto? L’altra metà del mondo è pronta a scommettere di no! Anni e anni di dure lotte per la parità uomo-donna si polverizzano nell’istante medesimo in cui quel microscopico quanto altero ovulo si concede a uno solo di milioni di spermatozoi che gli starnazzano intorno come cretini invasati, … e la vendetta prende corpo. È la vostra vendetta! Siamo d’accordo che la storia dei soprusi maschilisti è lunga e mai conclusa ma che diamine, andateci piano!
Siete incredibilmente magiche quando portate in grembo quella creatura, la nostra creatura, grandiose quando la date alla luce fra sofferenze che taglierebbero le ginocchia anche all’incredibile Hulk, semplicemente divine quando la tenete fra le braccia. Siamo stregati dalla luce dei vostri occhi, dall’opale della vostra pelle, dalla dolcezza della vostra voce e dal mistero della creazione che in voi si sublima. In una parola vi adoriamo, per quanto goffe siate con il pancione, vi adoriamo come arcaici bruti al cospetto della grandiosità di madre natura. Quindi, vi prego, abbiate pietà!
La nostra depressione da “pre-inter-post partum” è una depressione silenziosa, che si consuma di nascosto, mai svelata, perché noi stessi sentiamo di non averne il diritto e voi, consce della vostra superiorità, non perdete occasione per sbattercelo in faccia. La gravidanza, prima dopo e durante, è esclusivamente “affar vostro”. Ve lo si legge persino nello sguardo di compassione e superiorità che rivolgete al medico: “sì vabbè, tanto lui non ha mica mai partorito. In fondo cosa ne può sapere di come si sente una donna!”. Certo! Allora, per usare lo stesso criterio, dovete pretendere che l’ortopedico abbia il femore sfracassato, il dentista soffra di piorrea e il cardiologo sia sotto infarto.
L’universo femminile ci sovrasta e ci annienta; mogli, compagne, sorelle, madri, figlie, suocere, amiche e cognate, coese e granitiche, fagocitano la nostra povera esistenza scaraventandoci dietro alle quinte del palcoscenico dove sta per essere messo in scena lo spettacolo della vita, ridimensionandoci da attori co-protagonisti a semplici tecnici o fattorini.
Esagerati! Direte voi. Ah sì? Abbiate allora il coraggio di guardare in faccia, assieme a me, la realtà!
- La fase “pre-partum”
La natura, complice, vi concede ben nove mesi per pianificare con cura il nostro annientamento; nessuna meraviglia quindi che vi riesca tanto bene. Dai primi mesi, nei quali con la vostra disarmante dolcezza ci inducete a evitarvi pure lo sforzo di sollevare la saliera, fino al tiranneggiamento di mandarci nel cuore della notte a cercare l’uva spina (la deve aver inventata una donna incinta questa maledetta e introvabile varietà, ammettetelo!), passando attraverso weekend da girone dell’inferno alla ricerca di quella particolarissima sfumatura Pantone per il lettino.
Parlare? Guai a fare una battuta sul vostro fisico! “Mostro maschilista senza cuore!”, e giù lacrime.
Amici? Partita a calcetto? “Nichilista superficiale”, e giù ancora lacrime, e musi lunghi.
Cibo? Sono mesi che non si vede più un fritto per casa, mesi che ci propinate zuppe disintossicanti e beveroni drenanti. Alcol? Neanche a parlarne. Caffè? Al bar, perché a voi signore viene la nausea solo a sentirne l’odore, “e lavati pure i denti, subito!” Brioche? Almeno quella ci è concessa: “Amore, me ne fai assaggiare un pezzettino, piccolo piccolo …” E il Tirannosaurus Rex ti stacca il braccio fino alla clavicola.
Rapporti? Tasto dolente e spinoso. A parte il fatto che dobbiamo muoverci come se fossimo in un’esposizione di cristalleria di ovetti di Faberge – e il paragone non è casuale! – anche quando voi signore concedete le vostre grazie con gioia, difficilmente riusciamo a liberarci della sensazione di compiere “atti osceni in luogo pubblico” e quella risatina finale che ci annuncia che “ohhh, il pupo si è mosso”, non ci aiuta per niente. E non ci aiuta neppure l’immaginare che in capo a due ore la nostra prestazione sarà di pubblico dominio tra amiche, parenti e suocere che non si trattengono dall’infilarsi fra le lenzuola altrui ed elargire consigli accorati sul delicatissimo momento.
Stanchi, magri, un bel po’ arrapati, con le occhiaie al menisco, i fazzolettini per asciugare le vostre lacrime in una mano e le chiavi della macchina nell’altra, il bagagliaio che sembra la succursale di una nursery, arriviamo stremati quanto emozionati al momento fatidico. Finalmente!
- La fase “inter-partum”
Sono lontani anni luce i tempi in cui ci veniva sbattuta la porta sul muso; generazioni di virtuosi uomini iniziati al tabagismo più sfrenato in quel frangente, intenti a macinare chilometri nell’attesa di ricevere la benché minima considerazione. Niente! Il primo a rivolgerci la parola era nostro figlio, che con quel vagito disperato sembrava gridarci “Papà, entra e salvami!”.
Ora ci tocca entrare. È una vendetta la vostra; il volerci lì, accanto a voi, a respirare all’unisono come un mantice. Ci è costato diversi traumi cranici per svenimento ma noi, duri come il cemento, non molliamo. Arriva un tizio che ci infagotta senza troppi complimenti in un camice verde e ci cosparge di disinfettante manco fossimo dei coltivatori seriali di batteri; prova a dire “ma … io … veramente …”, sguardi di compassione e disapprovazione ti perforano da parte a parte: “Vigliacco!”. L’accusa è infamante, quindi entriamo, vi teniamo la mano, anzi … siete voi a tenerla a noi, con le unghie conficcate nella nostra carne, un po’ per farvi coraggio ma soprattutto per evitare che fuggiamo. Alcune non risparmiano gli insulti: “Guarda, brutto mostro, cosa mi hai fatto!”. I giorni che separano l’attimo della nascita del pupo dal suo arrivo nella cameretta di sfumatura Pantone sono i nostri ultimi di pace. Torniamo a casa con le budella sottosopra e, dopo nove mesi di regime stretto, brindiamo a birra con gli amici, diamo fondo alla scatola dei sigari e cospargiamo il divano di popcorn con i piedi sul tavolino del salotto. Da domani la pacchia è finita! Sappiamo che sarà dura ma l’immaginazione non si avvicina alla realtà.
- La fase “post-partum”
Da “dolce e amata metà” siamo già passati a “mostri senza cuore”, ma ora diventiamo il “nemico”. Non ho mai capito perché ma tutto l’universo femminile che si riversa intorno al pupetto ci tratta come se fossimo dei pericolosi criminali. Persino la mamma, quella santa donna che vi guardava come mentecatte miracolate, nella quale pensavamo di poter contare al di là di tutto e di tutti, ci ringhia contro rabbiosa: “Cosa fai? Mica penserai di accenderti una sigaretta?” “Mamma, ho smesso 15 anni fa. Volevo solo prendere il fazzoletto” “Sei matto? Spargi germi ovunque. Vai, vai via, via …”. Avvicinarci alla creatura? Non se ne parla. Oltre a essere containers di germi potremmo ferire con quella barbaccia dura la tenera pelle, e sfigurarlo per sempre.
Mentre madre e suocera si giocano a dadi l’ambitissimo cambio pannolino, azzardiamo un timido “beh, allora io andrei … “. La quarta glaciazione si materializza nella stanza: “Ah! Bene! Lui se ne va, il Signore! E i pannolini? E la spesa? E le quarantadue casse di acqua? Deve bere molto tua moglie, lo sai? E i documenti in Comune? Comodo lui!”.
Per quanto nostro figlio abbia sì e no cinque giorni di vita e non capisca ancora un accidente, in tv si guarda solo più la Pimpa, anche se la nostra squadra è in finale di Champions dopo vent’anni.
La puerpera, che sareste voi, dolci compagne della nostra vita e madri della nostra prole? Fagocitate da un nugolo femminile di ogni età e grado di parentela che rimembra rotture di acque, doglie e allattamenti più che vintage, vi dimenticate totalmente di noi, condannandoti a vagare come ectoplasmi, con magliette e camicie che sembrano uscite dalla seconda guerra punica, sepolti sotto quantitativi di pannolini (che fra l’altro non azzecchiamo mai!) in grado di assorbire la piena del Po.
Rapporti? Se prima eravamo arrapati ora sembriamo l’incarnazione del dio Pan. Ma ci vuole pazienza, santissima pazienza.
Il seguito della storia non è più roseo. Con lo svezzamento inizia l’era del “guarda che lo mangia pure papà!” e del “gioca a cavalluccio con papino”.
Ora vi siete fatte un’idea di quello che ci fate passare?
Sono secoli che ci annulliamo nell’ombra della vostra magia, abbiamo imparato a inghiottire bile mentre vi stringiamo la mano in sala parto, ci siamo specializzati in cambi di pannolini con velocità da guinness, ci siamo rassegnati a trangugiare pappette verdi, ad avere attenzione straordinaria per la nuova condizione del vostro corpo che diventa sempre più bello e luminoso ma ci sfugge, ma soprattutto abbiamo imparato a tacere, a rispettare il vostro stato così “interessante” mentre del nostro non interessa proprio a nessuno. Ci gettiamo a capofitto nel lavoro, talvolta, e cancelliamo la stanchezza dai nostri brutti musi per devozione nei confronti della vostra. Apprezzatelo.
Depressione? No, non credo rientri tra i nostri diritti.
Stanchezza? Quella sì, compete pure a noi. La stanchezza, lo stress, le circostanze contingenti, possono essere particolarmente aggressivi in momenti particolari, anche meravigliosi quali la venuta al mondo di una nuova vita.
I sintomi non vanno trascurati, mai, al di là del quadro volutamente comico che ho cercato di delineare.
La nascita di un figlio riscrive il copione della vita, e come tutti i radicali cambiamenti può generare conflitti, fuori, dentro e pure intorno, tanto che il tuo ruolo sia quello di madre che di padre. Subentrano stanchezza, problemi, preoccupazioni sacrosanti e le famigliole tuttedenti che al mattino, belli come dei dell’Olimpo, si lanciano i croissants fra lazzi e risate, esistono solo negli spot pubblicitari. Un figlio rosicchia i tuoi personali spazi, i vostri momenti di coppia, le ore di sonno, dilata la necessità del tempo utile per gestire la giornata, e gratta pure il fondo del portafogli, è ipocrita negarlo. È più che normale che il vostro corpo risponda con un po’ di stress.
Non è un problema insormontabile, anzi! La soluzione è semplice e veloce.
Parliamone assieme, magari su Skype se siete impegnati a imboccare il pupetto! non ho mai partorito ma posso garantire che insieme ne usciremo.
Vi voglio rivelare che ho messo in scena questa sorta di maldestra “piece”, che non manca di contenuti veritieri, proprio per farvi sorridere e stemperare la tensione, perché la nascita di un figlio è la cosa più bella che possa capitarvi nella vita.
… che il vento vi porti tanta felicità.
Il parto è doloroso.
Fortunatamente, la donna tiene la mano dell’uomo. Così lui soffre meno.
(Pierre Desproges)
Letture consigliate:
Mastroleo, A. & Arcano, L.
Yapko, M.
Rompere gli schemi della depressione
Muriana, E., Petttenò, L.,Verbitz, T.
I volti della depressione. Abbandonare il ruolo della vittima: curarsi con la psicoterapia in tempi brevi