Papà non voglio fare il calciatore

«Mamma, papà; vorrei fare danza»

«DANZA? E perché proprio ‘DAN-ZA’?»

«Perché mi piace, e da grande vorrei fare il ballerino»

«ah ah ah! Ma figurati! Non se ne parla proprio»

«e perché?»

«Beh, tanto per cominciare, il ballerino non è un lavoro»

«Sì che lo è. C’è Bolle, e tanti altri»

«Ok, ma è per pochi»

«Anche fare il calciatore è per pochi»

«Ma cosa c’entra?»

«C’entra che quando vi ho detto che volevo fare il calciatore eravate contenti»

«Ma è diverso!»

«Cosa c’è di diverso? Perché il calciatore sì e il ballerino no?»

«Perché … SEI UN MASCHIO!»

Possiamo sventolare bandiere e marciare sul mondo fino a che ci pare, ma non saremo mai liberi fino a che non scioglieremo quel nodo al fazzoletto che abbiamo fatto secoli addietro e che si chiama pregiudizio.

Il pregiudizio, ovvero l’anticipare la sentenza senza valutare le circostanze, genera lo stereotipo. E qui sono dolori. Sì, perché lo stereotipo è ancora più tossico e soffocante del pregiudizio.

La parola stereo + tipo, dalla solita origine greca sulla quale non voglio assillarvi, è rubata alla tipografia, coniata da Firmin Didot a fine 1700 per indicare il metodo da lui stesso brevettato per riprodurre in stampa una medesima pagina all’infinito. Si trattava in sostanza di un calco in bronzo con impressa una matrice.

 

Ed ecco come da un’invenzione straordinaria al punto di rivoluzionare il mondo e creare libertà attraverso la conoscenza e la diffusione a tappeto delle notizie, scaturisce un’idea statica, chiusa, rigida e asfittica. Lo stereotipo diventa quella cosa su cui non si ragiona, tanto l’idea è già precostituita, prestampata e predistribuita come la pagina di un giornale.

Fra tutti i possibili, non ho scelto a caso lo stereotipo “maschio + danza”.

Esso rappresenta infatti una sorta di prototipo di stereotipo ramificato in tanti altri stereotipi che soffocano il percorso verso la civiltà e la libertà di pensiero.

Nell’immaginario collettivo, a danno dei Billy Elliot ‘de noj artri’, covano tutta una serie di pregiudizi e fobie, radicati ma soprattutto indotti dallo stereotipo, quali la paura dell’altrui giudizio e l’insicurezza, che a loro volta oscillano pericolosamente sul precipizio del sessismo, dell’omofobia e del bullismo.

 

SESSISMO

La danza è roba da femmine. Ballare, muovere il corpo, lanciare messaggi in forma di ritmo sono attitudini istintive per ogni essere umano. Basta osservare la reazione di un bambino alla musica, nonché quell’inconscio muovere del piede che accompagnerà per tutta la vita il diffondersi nell’aria di note.

Che la danza sia un’attività fisica estremamente pesante, che richiede grande forza, tenacia, disciplina e non comune talento, è un fatto scontato e incontestabile. Doti queste che però, per stereotipo, sono ritenute “maschili” e quindi negate.

Il sessismo, che trasuda dalla frase: “roba da femmine”, tesa a svilire, svalutare e minimizzare, esplode al cospetto della situazione/specchio: la ragazza che si dedica ad attività per convenzione “maschili”, quali il calcio, il rugby, il pugilato. Niente ansia, palpitazioni, rossori, stupore; anzi, orgoglio ed entusiasmo. La signorina in questione è “una dura”; una “con le palle!”. Più sessismo di così!

OMOFOBIA

Scatta come una molla nascosta sotto al sedere quando tuo figlio ti comunica che gli piacerebbe fare il ballerino. Per la verità è un atteggiamento più frequente a livello maschile; le madri sono più inclini ad assecondare e accogliere la proposta con entusiasmo. Molti padri invece la vivono come un coming out, una velata dichiarazione di omosessualità, e infatti piuttosto frequente è la reazione: «Danza? Sarai mica finocchio?».

Si tratta di un processo mentale di associazione implicita: al cospetto di un ballerino, più o meno conscia scatta la domanda “sarà gay?”. Succede per caso anche quando abbiamo davanti un direttore di banca piuttosto che il postino?

Ovviamente la radice è da ricercarsi nel punto precedente, ovvero in quel sessismo che fatichiamo a scrollarci di dosso, ma si concretizza in un atteggiamento palesemente fobico.

L’accettazione dell’omosessualità come normale nel tessuto sociale, con tutte le problematiche che possono nascerne a livello familiare, non è argomento che intendo svolgere in questo contesto, anche perché non attinente. Infatti il parallelo “ballerino = omosessuale” non regge nella sostanza; tale propensione, qualora reale e presente, è legata esclusivamente alla sfera dell’intimo e non ai contesti, tantomeno sportivi.

Le pacche sul sedere e lo sventolamento di attributi in uno spogliatoio di calcio tutto al maschile, nell’immaginario collettivo, ma soprattutto paterno, vengono tradotti in machismo e goliardia, mentre calati là dove al suono del fischietto si sostituiscono le note di Čajkovskij, diventa un pericoloso attentato alle virtù sessuali del pupetto.

Vale dunque la pena ricordare che non pochi atleti vengono dal mondo della danza. Uno fra tutti Rio Ferdinand, ex difensore del Machester United e della nazionale inglese, un grande del calcio ora pugile, che in età adolescenziale si trovò a dover scegliere fra due sue grandi passioni, la danza, nella quale pare fosse dotato al punto di aver vinto una borsa di studio in una delle più prestigiose accademie del mondo, e il pallone. Scelse il secondo, più per convenzione che per convinzione, ma non ha mai dimenticato di ringraziare la sua preparazione di ballerino per l’elasticità, la forza fisica e la disciplina.

BULLISMO

Immancabile coda di sessismo e omofobia.

Molti ragazzi rinunciano a questa loro passione per paura. Le famiglie di coloro che invece perseverano si vedono costrette a tenere sotto controllo il figlio come un sorvegliato speciale, tanto a scuola che ai giardinetti.

È assurdo tutto ciò.

«Non volevo smettere di ballare, volevo solo che la smettessero di prendermi in giro», dice Patrick Frenette, ballerino dell’American Ballet Theatre.

Il ballerino e coreografo Chris Bell ricorda di essere stato regolarmente chiamato “femminuccia” durante tutta la scuola media e superiore.

Vi invito a guardare questa bellissima performance di un ragazzino di nome Pietro realizzata proprio allo scopo di rispondere agli atteggiamenti discriminatori nei confronti dei ragazzi che al calcio preferiscono danzare.

 

Che strano mondo viviamo! Progettiamo di solcare la galassia, affettiamo l’atomo come fosse una focaccia, ma naufraghiamo nel più oscuro medioevo di fronte a un ragazzo che sceglie un paio di scarpette di tela piuttosto che chiodate.

Chiunque distrugge un pregiudizio, un solo pregiudizio, è un benefattore dell’umanità.

Ebbe a dire Nicolas Chamfort nella seconda metà del 1700.  A distanza di trecento anni, quanti ne abbiamo distrutti?

Comincia da te. Distruggili nella tua mente, apri le finestre, dalle aria, lascia che il vento spazzi via la puzza di chiuso.

Buon vento

Federico Piccirilli

Psicologo, Psicoterapeuta

Terapie Brevi

Terapia a Seduta Singola

Ricevo a Monterotondo (RM), Fonte Nuova (RM) e Online

 

 

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