I cambiamenti portano con loro sempre un po’ di sconvolgimento, quella sensazione di mancato equilibrio, quel brivido d’instabilità, proprio come il fumo, che sgorga dalla bollente tisana, che mi accompagna in questi pomeriggi nel mio studio di Monterotondo. Impavidamente fuoriesce dalla tazza fumante, la sua sicurezza sembra squarciare l’aria, dove invece perde la sua essenza, per divenire qualcosa di molto più grande, tra le braccia del vento.
Novembre è per molti il mese più cupo dell’anno: la terra è ormai spoglia, vittima del cambiamento autunnale, che l’ha resa una landa desolata. Le temperature calano drasticamente, ci si sveglia con la nebbia, si cercano strati di calore che accarezzino la nostra pelle, lacerata dalle ferite che il freddo sferza su di noi.
La mancanza di luce solare porta con sé malumori, soprattutto per chi soffre di meteoropatia, e spesso la pioggia può mescolarsi alle nostre lacrime.
Ma c’è un motivo principe, per il quale Novembre è celeberrimo: questo mese è dedicato ai defunti, una ricorrenza che riapre vecchie ferite e che fa riecheggiare nel cuore il senso di mancanza e di abbandono.
Perché il lutto è difficile da affrontare?
Capita che a distanza di giorni, mesi, anni o decenni il lutto sia sempre causa di dolore.
Ricordi, profumi, parole e gesti riemergono nella quotidianità e riaprono ferite mai rimarginate.
Magari siamo persone razionali, risolutive, capaci, ma davanti ad un dolore così grande sveliamo il nostro tallone d’Achille.
Ma perché?
La morte, a differenza di molti altri eventi, ci mette a confronto con qualcosa di molto più grande di noi e sulla quale non abbiamo nessun potere e alcuna possibilità di agire. E’ qualcosa di irreversibile e inspiegabile, che disinibisce e disarma.
Nei nostri pensieri si affacciano dubbi, incertezze, ansie… Le condizioni iniziali ed abitudinarie subiscono cambiamenti e dobbiamo riorganizzare la nostra vita pieni di timore, senza più quella parte fondamentale che fino ad allora avevamo avuto accanto.
Molti si chiedono per quale motivo non tutti reagiscono allo stesso modo davanti alla morte.
In realtà uno dei modelli di elaborazione del lutto più noto in psicologia prevede che un essere umano affronti normalmente cinque fasi a seguito della perdita di una persona cara.
- Fase della negazione o del rifiuto. E’ la fase in cui evitiamo e neghiamo la realtà della perdita, è come se non ce ne rendessimo conto. In questa fase capita di pensare a quanto successo e stranirci, sentirci come se fossimo in un sogno e prima o poi ci sveglieremo.
- Fase della rabbia. In questa fase cominciano a manifestarsi quelle emozioni intense e difficili che abbiamo evitato nella fase precedente. La fase della rabbia è la fase in cui ci pensiamo che ciò che ci è accaduto sia ingiusto e sbagliato, ci arrabbiamo con chi ha “permesso” che la persona alla quale volevamo bene morisse (in alcuni casi medici, sanitari, parenti) e meditiamo vendetta.
- Fase della contrattazione. E’ la fase in cui riprendiamo in mano la nostra vita e “negoziamo” con noi stessi e con gli altri in quali progetti possiamo ancora investire nonostante la perdita e nonostante il dolore.
- Fase della depressione. Rappresenta il momento di autentica presa di coscienza della perdita, il momento in cui ricordiamo le cose belle vissute con la persona cara e la disperazione per tutto ciò che non rivivremo più diventa palpabile. Ci rendiamo conto di quante cose di noi sono state “plasmate” da chi non c’è più e il pensiero della perdita ci fa sentire sconfitti e disperati.
- Fase dell’accettazione. Quando riusciamo a dare un senso a quanto è successo, a inscrivere la perdita nell’ordine naturale delle cose, a trattenere e ricordare quanto di buono è accaduto sopraggiunge la fase dell’accettazione.
Per quanto ognuno di noi possa riconoscere di aver vissuto proprio queste fasi di fronte ad un lutto, è bene ricordare che le parole hanno un significato etimologico, sul quale siamo tutti, più o meno d’accordo, ma ognuno di noi le carica con i suoi vissuti, le sue emozioni, le sue esperienze.
Ognuno ha un suo piccolo dizionario personale, in cui le parole assumono significati variegati.
Molto spesso si crede che di fronte ad un lutto stia male solo chi piange, chi va tutti i giorni al cimitero, chi si veste di nero, ma c’è un lutto più silenzioso, che non passa tra le lacrime, che non ha colori, che non è visibile.
Il lutto non è un’esibizione, si porta non si esporta. Nasce da dentro e dimora lì, come una calda fiammella, che rischiara le orme che la persona amata ci ha lasciato sul cuore.
Ognuno è libero di esprimere il dolore secondo il suo punto di vista, come ben sapete le etichette non mi sono mai piaciute, limitano troppo la possibilità di vedere cosa c’è oltre.
Ma a proposito di “oltre”, cosa c’è oltre la morte?
No, non voglio aprire un dibattito esistenzialistico, vi sto solo chiedendo:
Quale lezione possiamo ricavare dalla morte?
Ho già detto che il buio che lascia un lutto fa nascere spesso sentimenti di insensatezza, eppure qualcuno diceva che nulla accade per caso…
Questo periodo non serve a crogiolarsi nel buio senza motivo, serve a preparare il terreno ad una nuova semina, ma per farlo, occorre avere il coraggio di scavare, di comprendere il ruolo fondamentale della morte, del vuoto, che permette ad una nuova vita di germogliare.
Lì, tra quel vuoto, in quel buio, tra quel dolore, sotto quella superficie c’è ancora una vita in fermento, un cuore, ancora più grande, pronto a continuare a battere per due.
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Buon vento 😉
Federico Piccirilli
Psicologo, Psicoterapeuta
Terapie Brevi
Terapia a Seduta Singola
Ricevo a Monterotondo (RM) e ONLINE