Qualche giorno fa l’Ordine degli Psicologi ci ha mandato un’email per diffondere una campagna di sensibilizzazione. Il corpo dell’email recitava: “Riconoscere che c’è violenza è doloroso. Vederla spesso è difficile. Difficile perché fa male. Difficile perché all’interno di relazioni intime. Difficile perché a volte subdola, invisibile. Non solo schiaffi, segni e lividi, ma forme diverse di violenza, psicologica e morale. Il femminicidio non nasce dal nulla: è alimentato da fiumi, talvolta sotterranei, ma molto più spesso evidenti e tollerati, che narrano la violenza domestica, economica, psicologica, assistita come normale manifestazione di “amore”. Come psicologhe e psicologi dobbiamo imparare a riconoscere tutti questi segnali e insegnare a farlo: è un’operazione difficile perché impatta su una cultura che questa violenza la usa da sempre e la trova “normale”.
Una volta per tutte abbiamo bisogno di nuovi occhiali che ci consentano di riconoscere la violenza degli uomini sulle donne e di farla vedere: è un nostro compito di professioniste e professionisti “ampliare” di default la nostra percezione e rovesciare la narrazione negazionista di chi riduce la violenza ad un conflitto fra pari poteri. E lavoriamo senza stancarci affinché il NO ad una relazione sia percepito come un diritto, anche se doloroso, da accettare”.
Trovo questo messaggio molto importante, più che mai in questo periodo storico, più che mai dopo gli incessanti e recidivi fatti di cronaca quotidiani, più che mai dopo le voci di tutte le piazze italiane. Un messaggio importante che, in qualità non solo di psicologo, ma di uomo, sento l’esigenza di applicare come supporto per ogni persona nel mio studio di Monterotondo o che seguirò online.
Tutte le donne devono poter guardare al futuro senza più paura
Il 25 novembre è stata la Giornata mondiale contro la violenza sulle donne, in tutte le città ci sono state manifestazioni, dibattiti, incontri per dar voce alle donne, perché tacere una violenza è come subirla due volte, perché non intervenire è come essere complici, perché la violenza sulle donne non deve esistere, come non deve più esistere la violenza in generale, a prescindere dal genere.
Ma perché c’è tanta violenza contro le donne? Di solito il movente è la “reazione dell’uomo alla decisione della donna di interrompere un legame“, ma ci sono alla base anche litigi banali che si sviluppano nel quotidiano vivere insieme. Tutto questo non può esserci indifferente, eppure un esperimento di qualche tempo fa ci dimostra il contrario.
53 persone tra uomini, donne, ragazzi e ragazze, nessuno si degna di intervenire a favore di una ragazza malmenata e maltrattata da un uomo, solo una donna minaccia di chiamare la polizia se lui toccherà nuovamente la donna… per fortuna si tratta di un esperimento sociale e la donna non era veramente in pericolo. La coppia è in ascensore, lui la insulta, le mette le mani addosso, le dice parole pesanti: “Tu mi devi ascoltare, io ti ammazzo”. L’esperimento è stato svolto dall’organizzazione svedese Sthlm per capire quante persone interverrebbero se vedessero due persone litigare e una di esse in netta difficoltà. La risposta è stata agghiacciante, solo una persona dopo 53 che non hanno mosso un dito, ha avuto il coraggio di affrontare l’uomo e interrompere la violenza sulla donna.
Cosa serve davvero nella borsa di una donna?
Se c’è qualcosa che una donna dovrebbe avere sempre con sé è la consapevolezza, perché questa è la vera guida che può permetterle di salvarsi la vita. Questo non significa che le donne dovranno difendersi per sempre, non si chiede loro questo, ma nel frattempo che si attua un cambiamento sociale, è necessaria la consapevolezza. Infatti un anello primario, in ottica preventiva, nella gestione dei casi di femminicidio risiede nella tempestività della valutazione del rischio di recidiva e reiterazione della violenza a danno della donna, al fine di scongiurare epiloghi tragici.
Essere donna comporta spesso una narrazione difficile: non si limita ad una questione di genere, in quanto coinvolge ogni singolo aspetto della vita, a partire certamente dal corpo e dalle difficoltà incontrate nel viverlo, nel comprendere e accogliere una corporeità fin troppo presa di mira da una società sempre più giudicante. Il femminicidio è una piaga sociale che richiede l’impegno di tutti per essere sradicata. Solo attraverso una presa di coscienza collettiva e una rete di sostegno alle vittime si può sperare di fermare questa tragedia che nega il valore e la dignità delle donne.
Uno tra i tanti preziosi strumenti da affinare è sicuramente quello dell’empatia tra donne, che va ben al di là della tanto decantata solidarietà femminile: non si tratta soltanto di un supportarsi l’una l’altra bensì di ascoltare le ferite emotive, accogliere l’altra nella sua integralità e non soltanto gli aspetti più facili da elaborare, e legittimare un sentire intimo, personale, recuperare la forza di un linguaggio snobbato: quello da cuore a cuore, fatto di emozioni e sensazioni al di là delle parole.
Come diceva Virginia Woolf: “Le donne devono sempre ricordarsi chi sono, e di cosa sono capaci. Non devono temere di attraversare gli sterminati campi dell’irrazionalità, e neanche di rimanere sospese sulle stelle, di notte, appoggiate al balcone del cielo. Non devono aver paura del buio che inabissa le cose, perché quel buio libera una moltitudine di tesori. Quel buio che loro, libere, scarmigliate e fiere, conoscono come nessun uomo saprà mai”. Condividere lacrime e cicatrici alleggerisce il peso che grava sull’anima.
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Buon vento 😉
Federico Piccirilli
Psicologo, Psicoterapeuta
Terapie Brevi
Terapia a Seduta Singola
Ricevo a Monterotondo (RM) e ONLINE