“Mumble mumble” facevano i personaggi dei cartoni di qualche tempo fa, prima dell’avvento di quelli giapponesi che si esprimono con eloqui improponibili.
Gulp! …Mumble mumble …, il personaggio, papero, topo o antropomorfo che fosse, rimuginava fra sé e sé, misurando lo spazio con piedoni enormi ed emettendo dalla testa nuvolette di fumo, le braccine intrecciate dietro la schiena.
Sarebbe bello vivere in un cartone, e combattere a suon di Mumble Mumble e Gulp! I problemi della vita!
Ve lo immaginate? Una discussione con il partner, uno screzio sul lavoro, una difficile situazione da risolvere … ed ecco spuntare sopra alle capocce degli strani scarabocchi e … Splash, Buuuum, Puuuf, Slam … Sob! Sentimenti che si materializzano come vapore fuori da una pentola, cuoricini che escono a raffica dal petto, monetine che sostituiscono le pupille, fiamme e tuoni che scaturiscono dalle orecchie!
Invece a noi, poveri umani in carne e ossa, non è concesso alcun simbolo onomatopeico che ci venga in aiuto, nessuna lampadina o Eureka che si materializzi accendendosi sopra le nostre teste.
Noi siamo campioni nel … rimuginare!
Lo so che è noioso insistere sull’etimologia delle parole che utilizziamo con consuetudine, ma spesso assai efficace: il termine è una specie di crogiuolo, ovviamente di matrice latina, dove “mugere” sta per “borbottare, rimescolare, frugare” e la particella prefissa “ri” indica reiterazione.
Quindi: borbottare e frugare di continuo. Vi è però un significato più profondo, e decisamente esplicativo: la radice di “mugere” è “mug”, ovvero “fare cosa vana”.
In poche parole, rimuginare non serve a un bel niente!
Perché succede?
Attaccare un problema, o una qualsiasi situazione più o meno critica, lavorandoci all’interno come se fossimo dei tarli, non può portare ad altro che a ritrovarci il medesimo problema semplicemente riempito di inutili buchi.
Perché in questo alacre lavoro di rosicchiatura non siamo disposti a fare sconti a nulla e nessuno. Insomma, mentre rosicchio, rimescolo e frugo, … ‘ndo cojo cojo!
Di materiale ce n’è, questo è fuor di dubbio. Difficile riuscire a focalizzarci su di un aspetto solo, molto più facile ravanare nel mucchio e girare il coltello là dove la fibra è più debole.
Ogni illuminazione, anche la più lucente delle lampadine che un disegnatore della Disney potrebbe tracciare sulla nostra testa, viene inficiata, vanificata da questo tormentoso lavorio, che alla fine fiacca, stanca, lasciandoci con un problema irrisolto che ne ha risvegliati altri dormienti.
E allora?
Allora molto meglio “riflettere”.
Anche per questa parola vorrei chiedervi lo sforzo di considerare la sua etimologia, come sempre illuminante, ma ci basti pensare che noi l’associamo d’istinto allo specchio: la nostra immagine che ci ritorna indietro, svelandoci particolari di noi che ci piacciono e altri che vorremmo evitare di vedere.
Qualcuno obietterà che comunque quella che vediamo è un’immagine fasulla, perché possiamo anche decidere di ignorare quanto non ci garba e quindi non vederlo proprio.
È vero, però il problema non è lo specchio, siamo noi.
Lui il suo dovere lo fa; riflette ciò che è vero, senza sconti né piaggerie alcuni, se poi a noi questo non va bene non è affar suo.
L’ignorante afferma, il sapiente dubita, il saggio riflette. Disse Aristotele, che era uno che di sapienza e saggezza se ne intendeva.
Impariamo dunque a riflettere, come un buon specchio, guardarci dentro focalizzando il problema, restringendolo a un preciso punto, come se ne stessimo usando uno di quelli che ingrandiscono e fanno da lente, e potremo facilmente trovare tanto la falla, il difetto, che la soluzione.
Se poi avete delle difficoltà, nella Terapia Breve potete trovare un’ottima superficie riflettente.
Buon vento, e buona Pasqua.
Federico Piccirilli
Psicologo Psicoterapeuta
Terapia Breve
Terapia a Seduta Singola