E’ questione di giorni e la mia piccola Monterotondo inizierà a diventare deserta: le serrande abbassate, con quei bei cartelli colorati con scritto “Chiuso per ferie”, le strade meno trafficate, poca gente in giro. Accadrà in molti paesi e in molte città.
E’ arrivato il momento dell’anno in cui, oltre a fare particolarmente caldo, tutti vanno in vacanza, magari non tutti partiranno, ma anche se non si parte fisicamente tutti avranno dei giorni in cui staccheranno la spina dal lavoro e dalla routine quotidiana. Tutti, compresi gli psicologi.
Ma cosa succede quando lo psicologo va in vacanza?
In realtà non succede nulla, semplicemente la routine terapeutica viene momentaneamente messa in stand-by e ci si rivedrà subito dopo la pausa estiva, ma il “dramma” avviene nelle emozioni, che questo evento scaturisce.
Si avverte un senso di abbandono, come se all’improvviso non si fosse più in grado di fare nulla da soli. Oltre a ciò si viene colti da una profonda agitazione, che può spingere a fare gesti estremi, come ad esempio ricercare un altro terapeuta a disposizione in assenza del proprio. Tutto ciò è dettato dalla ricerca di un senso di sicurezza, perché… “non sia mai succedesse qualcosa e il terapeuta non c’è…”.
Tutto questo è un copione che può frequentemente presentarsi nella stanza della Terapia, ma va prontamente affrontato e arginato per un importantissimo motivo: il terapeuta non deve diventare una tentata soluzione disfunzionale, non deve diventare una dipendenza o un’ancora di emergenza, il terapeuta è qualcuno, che al contrario, accompagna verso un percorso di autonomia e di autoefficacia.
Per tale ragione, affinché il paziente sia preparato al momento di “distacco”, è necessario, durante l’ultima seduta prima della pausa estiva, prendersi cura dei suoi vissuti emotivi, per evitare che la separazione diventi una crisi profonda.
A volte parlare con il terapeuta della propria paura, che appare nella nostra mente come una tigre inferocita e famelica, può rivelarsi, con lo scorrere delle parole, l’ombra innocente di un tenero gattino spaventato.
E’ bene anche chiarire di che tipo di interruzione si tratta: quanto dura, quando ci sarà il prossimo incontro, ecc… E poi, per fronteggiare questo spaventoso distacco, possono essere create, insieme al terapeuta, delle piccole regole di “sopravvivenza”, costruendo insieme delle ipotetiche soluzioni per fronteggiare gli eventuali momenti di angoscia attraverso le sue risorse, ipotizzando a chi può rivolgersi in caso difficoltà e concordando un’eventuale possibilità di chiamarlo nei momenti critici, ovviamente sempre secondo alcune regole stabilite e quindi decretando in quali momenti della giornata, con quale frequenza e soprattutto in quali occasioni.
“Il dolore della separazione è nulla in confronto alla gioia di incontrarsi di nuovo” diceva Charles Dickens ed è per questo che io credo che questi momenti di separazione, inevitabili, non solo con il terapeuta, ma anche con altre importanti figure di riferimento che contornano la nostra quotidianità, permettono di crescere interiormente, dando voce alle nostre risorse e alle nostre capacità.
La separazione ci permette di acquisire maggiore sicurezza in noi stessi e ci permette di provare ancora più gioia nel riconciliarci con gli altri, non più per bisogno, ma per piacere e ci dà l’occasione di raccontare loro la bellezza di ciò che siamo stati in grado di fare durante la loro assenza, condividendone insieme la gioia.
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Buon vento e buone vacanze 😉
Federico Piccirilli
Psicologo, Psicoterapeuta
Terapie Brevi
Terapia a Seduta Singola
Ricevo a Monterotondo (RM) e ONLINE