Se è vero che sulle donne ci sono ancora molti pregiudizi e molti stereotipi di certo non si può non dire la stessa cosa per quanto riguarda l’uomo. Nelle mie sedute, nel mio studio di Monterotondo oppure online, il senso del giudizio è un peso che grava sia sui pazienti di sesso maschile sia sulle pazienti di sesso femminile. D’altronde si sa che “è più facile spezzare un atomo che un pregiudizio”, no?
Ma quali sono gli stereotipi e i pregiudizi che ruotano intorno agli uomini? Forse tutto inizia dalle associazioni etimologiche. Quando pensiamo alla parola uomo non lo intendiamo come essere umano, quindi dimentichiamo che la parola uomo deriva dal latino hŏmō, legato a hŭmus ‘terra’, avente senso, quindi, di “terrestre”, ma pensiamo subito a come veniva chiamato dai latini: “vir”, l’uomo inteso come virile. Il latino vir inteso come “uomo, maschio”, che possedeva come virtù originaria, in tempi rudi e bellicosi, il coraggio, la forza, il valore in battaglia.
Ma sono davvero tempi antichi e trapassati? Forse non del tutto. Ancora tutti credono al mito dell’uomo che “non deve chiedere mai”… Del padre padrone, di un maschile capace di esprimersi e misurarsi solo attraverso l’esercizio della forza, dell’autorità e del potere. Dell’uomo che rifiuta aspetti di debolezza e di qualunque accenno di emotività, cura, creatività, svalutandoli e proiettandoli sulla donna. Credenze che scardinano l’altra faccia della medaglia, quella secondo la quale i modi in cui può esprimersi la mascolinità sono molteplici e tutti devono avere il loro spazio nel personale “pantheon” di ogni uomo perché possa realmente essere sé stesso.
Un uomo divino
Nella mitologia greca Zeus è colui che riuscì a spodestare il proprio padre e ad assumere il potere sulla terra e sui cieli. Insomma, l’archetipo del maschio “alfa”. È colui che agisce come capo e comandante indiscusso tanto al lavoro quanto in famiglia. Protettivo, ma anche potenzialmente collerico e vendicativo con i propri figli. Questo stratega nato, questo invincibile seduttore, può avere molta difficoltà a vivere rapporti di autentica intimità emotiva. Rischia così di isolarsi nella sua torre d’avorio del potere. A meno che non integri altri aspetti nella sua personalità. Ed è proprio questo che fa la nostra società: vede l’uomo a senso unico, lo incastra in un unico modello.
Tuttavia, invece, già la società dell’antica Grecia forniva un pantheon di sfaccettature di altre divinità maschili.
Poseidone rappresenta il maschile sanguigno, passionale e irruento. Colui che è capace di grandi passioni, grandi entusiasmi. Ma che, se si fa “rapire” da questo modo di essere, se lo esprime in maniera rigida e totalizzante, può arrivare a perdere il controllo. Sono gli uomini che vengono facilmente alle mani, che bevono troppo e diventano aggressivi. E che rischiano di provocare ricorrenti “maremoti” in famiglia e con le persone che sono loro attorno. Non fa male allora avere a disposizione anche le energie maschili di Apollo. Un dio “figlio”, appartenente alle seconda generazione degli dei. Lontano dunque dalle ambizioni di potere di Zeus, ma anche dal temperamento irruento e sanguigno di Poseidone. Apollo è il rappresentante di tutti quegli uomini che sanno fare buon uso della propria razionalità. Quegli uomini capaci di visualizzare con chiarezza e determinazione i propri obiettivi, senza lasciarsi sopraffare dalle emozioni. Energia che può venire in soccorso ad un uomo che sia troppo preso dall’irruenza di Poseidone. E che debba imparare a disciplinare le sue emozioni e ad utilizzarle per pensare e fare scelte motivate invece che reagire d’impulso distruttivamente.
Invece Ade, l’altro fratello di Zeus, può consentire ad un uomo di scendere nel profondo di sé per contattare i suoi aspetti più segreti. A meno di non rimanere imprigionato in questo mondo sotterraneo, cadendo in un doloroso caos, può riemergerne arricchito nella propria personalità. Il sotterraneo rappresenta simbolicamente ciò che appartiene alla nostra. È una dimensione con cui sarà più facile entrare in contatto per gli uomini più naturalmente portati a guardarsi dentro. Altri potranno accedervi, magari per la prima volta, solo dopo una perdita, un lutto, che sia di una persona o di un progetto importante.
Uno, nessuno e centomila
Così come le donne non sono solo adatte a “fare le donne”, anche gli uomini possono prendersi la libertà di essere chiunque desiderino essere. E’ in questa capacità che possono raggiungere la vetta dell’Olimpo della loro piena autorealizzazione. Possono essere abili comunicatori, esploratori. In grado di creare feconde connessioni fra pensiero e azione, insomma veri e propri messaggeri, come Ermes, il messaggero degli Dei. Alcuni potranno scoprire dentro sé stessi un genio creativo, un bisogno di “fare”. Di dar vita a qualcosa partendo da ciò che è sotto le loro mani. Potranno essere artigiani, scultori, inventori, come il dio Efesto. E potranno anche accedere ad una sensualità estatica, “dionisiaca”. Un’energia anticonformista da cui trarre ispirazione diventando magari mistici, personaggi spirituali o artisti dello spettacolo. Quel che conta è che ognuno possa contare un “pantheon interno” sufficientemente ben bilanciato.
Altrimenti qual è il rischio per un uomo che non riesce a trovare il suo equilibrio? The Peter Pan syndrome: men who have never grown up, è questo il titolo del libro con cui lo psicologo Dan Kiley inaugurava nel 1983 la sindrome di Peter Pan, un’espressione frequentemente utilizzata per alludere a quelle persone che si mostrano incapaci o riluttanti ad assumersi responsabilità e scelte pienamente adulte, sia nelle proprie realizzazioni personali che nei rapporti con gli altri. Eludere responsabilità troppo gravose, mantenere impieghi salutari senza raggiungere una realizzazione e una stabilità lavorativa, mostrare la stessa incostanza anche in amore passando “di fiore in fiore” senza mantenere relazioni stabili o arrivare ad “impegnarsi” seriamente. Questi atteggiamenti possono condurre l’uomo in una sorta di limbo, di eterno presente assolutamente improduttivo.
Ma, paradossalmente, è proprio questo il momento adatto, in cui è bene che emerga il lato estremamente creativo e fecondo della persona, che vorremmo costruire. Infatti ogni volta che ci affidiamo al pensiero creativo automaticamente cresciamo, costruendo la più autentica versione di noi, quella modellata sulla misura dei nostri desideri e dei nostri bisogni.
Come dice Nick Hornby: “Una volta credevo, anche se adesso non lo credo più, che crescere e diventare adulti fossero due cose analoghe, due processi inevitabili e incontrollabili entrambi. Adesso penso che diventare adulti sia una cosa dominata dalla volontà, che si possa scegliere di diventare adulti”.
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Federico Piccirilli
Psicologo, Psicoterapeuta
Terapie Brevi
Terapia a Seduta Singola
Ricevo a Monterotondo (RM) e ONLINE