San Valentino è ormai passato (e forse qualcuno dirà: “E meno male”), eppure nel mio studio di Monterotondo sento spesso parlare di storie d’amore, ma soprattutto sento esprimere spesso un pensiero ricorrente, avvolto in una fitta nube di speranza, quando si parla di relazioni:
“Io ti aiuterò, tu starai meglio, mi sarai riconoscente e mi amerai.”
Quante volte hai amato qualcuno così profondamente da volerlo salvare a tutti i costi?
“Amor vincit omnia”, l’amore supera tutto, dicevano i latini.
Ma è davvero così? Non sempre.
Infatti se è vero che la Speranza è l’ultima a morire, è anche vero che a volte, chi vive di speranza muore disperato.
Se volessi usare un’etichetta per descrivere questo atteggiamento userei termini come “crocerossina”, non a caso, infatti, nel nostro immaginario collettivo la crocerossina lega le sue azioni a delle aspettative, che ripone verso il suo assistito, senza il quale lei smetterebbe di rivestire quel ruolo.
Ma, come ben sai, seguo poco le etichette, mi piace scendere più in profondità. Infatti la parola “crocerossina” è riduttiva per molti aspetti, in primis perché non esistono soltanto donne “Crocerossine” ma anche uomini “Crocerossini”.
Quindi potremmo dire che molte persone, nella relazione con gli altri, utilizzano un sistema percettivo reattivo nel quale concepiscono l’amore non come qualcosa di gratuito, ma qualcosa da doversi meritare.
Ciò nutre la convinzione che l’altro abbia bisogno di noi, ignorando ciò di cui abbiamo bisogno noi. Inoltre queste persone si annidano tra storie contorte e problematiche, che con soddisfacente fatica portano avanti, in nome della loro missione di salvezza.
Tuttavia però, ritrovandosi continuamente a risolvere i bisogni degli altri, si dimentica come si fa a riconoscere i propri. Si dimentica se stessi, poiché ci si abitua a vivere nel riflesso che viene dall’opinione degli altri.
Dietro a quell’atteggiamento amorevole, nobile, altruistico ed incondizionato si annienta la capacità di amare e di rispettare se stessi, di ascoltarsi e di osservarsi.
Invece prendersi cura in primis di se stessi è il primo passaggio imprescindibile se si vuole imparare a sperimentare un benessere autentico nelle situazioni affettive e relazionali della propria vita.
Ti sei mai chiesto chi si prende cura di te?
Quante volte arriva la sera e ti senti senza energia? Quante volte ti senti insoddisfatta e con la sensazione di non aver fatto niente di importante durante il giorno?
Solo in quel momento forse percepisci che non bastano i sacrifici che fai per gli altri o per quelle attività che “devi” fare, per essere ricambiata o per essere felice.
A volte hai bisogno di rifare il punto della situazione, ripartendo da te.
Prenderti cura di te non vuol dire essere egoista.
Al contrario, dare priorità al tuo benessere vuol dire non solo migliorare la qualità della tua vita, ma anche affrontare meglio le relazioni sociali e lavorative. Imparare a conoscere i propri bisogni ti aiuta, infatti, a sentirti più libera e a saper cogliere tutte quelle occasioni che possono farti stare meglio.
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Buon vento 😉
Federico Piccirilli
Psicologo, Psicoterapeuta
Terapie Brevi
Terapia a Seduta Singola
Ricevo a Monterotondo (RM) e ONLINE