La castagna è il simbolo indiscusso dell’autunno, con il suo color marrone, i suoi ricci e il suo profumo, quando viene arrostita, e il suo sapore inconfondibile, diventa una vera festa per i sensi!
Una meraviglia così gustosa e preziosa, racchiusa in un riccio, ricoperto da aculei spinosi, e questo non è un caso. D’altronde tutto ciò che è prezioso si custodisce con cura.
L’immagine del riccio è spesso usata dalle persone del mio studio di psicologo a Monterotondo o che seguo online. D’altronde paura, ansia, mancanza di fiducia, dolori irrisolti, sono spesso aculei umani, dai quali ognuno di noi cerca di proteggersi.
Torniamo alle castagne… Perché hanno i ricci?
Una leggenda racconta che moltissimi anni fa, in un bosco di montagna, viveva una famiglia di ricci: mamma, papà e i loro piccoli. Accanto ad essi, c’era un enorme albero pieno di castagne. Ogni giorno, un gruppo di scoiattoli affamati si avvicinava all’albero per mangiarne i frutti. Un bel giorno, la famiglia dei ricci pensò di fare una passeggiata nel bosco. Sentì delle lamentele e si avvicinò curiosa all’albero per vedere chi fosse.
Salì sopra e rimase sorpresa nel vedere le tristi castagne che si lamentavano, e spiegarono loro degli scoiattoli che le mangiavano. Insieme, escogitarono un bel piano: al momento dell’arrivo degli scoiattoli, le castagne si sarebbero nascoste dentro i ricci. Così fecero. Da quel giorno, gli scoiattoli si punsero e non vennero più a disturbare le castagne. Ecco perché, ancora oggi, le castagne mantengono il loro riccio per proteggersi dal nemico.
Allo stesso modo i nostri aculei umani ci “proteggono” dalla paura di essere feriti. In questo modo non si può essere raggiunti dal dolore, anche se si sacrifica la possibilità di essere raggiunti da sentimenti positivi e appaganti. Il rischio, molto spesso, preclude ogni possibilità.
Apri nuovi scenari oltre alla “strategia del riccio”
Capita che il desiderio di nascondersi a se stessi e agli altri chiudendosi a riccio, nasca dalle fumanti ceneri della delusione di non sentirsi compresi.
A volte, infatti si vorrebbe poter contare sull’empatia altrui, per far scivolare le proprie parole senza il timore che vengano derise o non comprese. Si vorrebbe lasciar muovere i propri pensieri con leggerezza, per permettere loro di trovare una collocazione che gli restituisca un senso. E invece si collezionano soluzioni e consigli non richiesti, che risultano indigesti, quanto un pasto abbondante quando non si ha fame. Perché il più delle volte si avrebbe solo bisogno di essere ascoltati. In silenzio, con attenzione e senza pregiudizio. Il più delle volte si cerca solo che gli altri non ci facciano del male.
Si può essere isolati e non sentirsi soli e sentirsi soli anche in mezzo a una folla. Ci si può sentire incompleti senza sapere quello di cui si ha bisogno. Ci si può chiudere alla vita e alla felicità che può riservare per paura. Ma come si esce da tutto ciò? Aprirsi alla vita è accettare di non poterla controllare. Aprirsi alla vita è accettare che sia semplicemente assurda. Aprirsi alla vita è accettare di poter essere punti e pungere a propria volta. Aprirsi alla vita è una scelta consapevole e rischiosa, ma è il solo modo perché sia davvero Vita, per riempire quel vuoto interiore in cui la solitudine ha affondato le sue radici. Negare il dolore non serve a cancellarlo: lo rende solo più forte perché gli si consente di scavare l’anima, di toglierci il fiato di giorno e di invadere i nostri sogni di notte. Chi teme di affrontare il dolore corre il rischio di diventarne prigioniero e di ritrovarsi ad interpretare la realtà attraverso chiavi di lettura soggettive permeate di sfiducia e pessimismo. Congelare la sofferenza emotiva ha l’effetto di una droga: ci fa sentire invulnerabili solo in apparenza, ha una riuscita temporanea e ci rende dipendenti da tutti quei fattori di distrazione che ci distolgono da noi stessi.
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Buon vento 😉
Federico Piccirilli
Psicologo, Psicoterapeuta
Terapie Brevi
Terapia a Seduta Singola
Ricevo a Monterotondo (RM) e ONLINE