“Che facciamo? Lo porti tu?”
“No, ti prego, non credo di farcela”
“Ma … avrà capito?”
Saranno almeno due ore che lui, il pupo, è pronto; il giubbottino, decisamente più adatto a un’escursione al circolo polare artico che a una mattina di metà ottobre a Roma, agganciato fin sotto al mento, gli scarponcini, anch’essi da arrampicata su ghiaccio, legati ben stretti, in testa un colbacco che a Mosca se lo sognano. Seduto sul tappeto del salotto assiste alla scena incapace di muovere anche il mignolo per via delle muffole che gli hanno trasformato le manine in due pon pon. Accanto a lui un borsone in cui ha visto bene che la mamma ha infilato delle strane cose: un calzino usato di papà, la copertina di quando era piccolo piccolo, quella tutta infeltrita e macchiata perché ci vomitava sempre, e uno straccetto intriso del profumo della mamma. Ha sentito benissimo che papà si è un po’ arrabbiato e le ha detto: “santo cielo! Mica è un cane!”
“certo che ha capito … guardalo … no non guardarlo … sì ma guardalo … senza farti accorgere … hai visto?”
“come faccio a vederlo se non posso guardare? Cosa fa?”
“fa che … ha capito tutto. È rosso e sta piangendo”
In effetti il poveraccio ha assunto un colore quasi violaceo ma non sta piangendo. Suda!
Non ha la più pallida idea di che cosa stia frullando nella testa di mamma e papà, perché siano così agitati, a che cosa serva quel fagotto con dentro tante inutili cose puzzolenti; basta solo che si decidano perché ormai sente che sta evaporando. “Nido”, ha sentito pronunciare questa parola per giorni, sussurrata alla nonna, cercando di fare in modo che lui non sentisse. Non sa ancora parlare bene ma se solo potesse direbbe loro: “ok, non so cosa sia ‘sto Nido ma per favore andiamoci, e di corsa. Magari in quel posto c’è qualche anima buona capace di tirarmi fuori da questo forno!”.
P.S.
Nell’immagine a lato il bimbo non compare; non è per problemi di copyright ma solo perché è evaporato!
Assai critico momento quello dell’inserimento al Nido. Quelle braccine tese mentre avviene il fatidico passaggio fra le tue mani e quelle della maestra sono un autentico strazio e ti si spezza il cuore.
Lacrime …, distacchi fra le lacrime, ricongiungimenti fra le lacrime, timori, ettolitri di antibatterico in gel e un mare di sensi di colpa sanati a suon di regalini quotidiani.
Ma chi vanno a consolare quei regalini? Il pupo o te?
La risposta è che forse sarebbe più onesto comprarti quella borsetta che ti piaceva tanto.
Il problema è quasi esclusivamente tuo, o meglio, diventa anche suo dal momento che fai di tutto per trasmettergli il tuo.
I bambini, nella fase d’età che va dalla nascita sino ai tre anni, vivono in una sorte di luce riflessa che ha la sua origine nei genitori, o comunque in chi vive con loro in simbiosi. Ciò non significa che non siano dotati sin dalla nascita di una propria personalità ma semplicemente che non possiedono ancora i mezzi per palesarla.
Immagina che i tuoi timori, le gioie, le tensioni, siano come palline di gomma colorate lanciate fra le mura di casa; ebbene, sui bambini queste palline non rimbalzano, ma vengono letteralmente assorbite, fino a scomparirvi.
Lui piange, manifesta un attaccamento morboso, si ribella con i mezzi che al momento possiede: grida, lacrime, magari qualche picco di febbre e un sapiente sciopero della fame. A questo punto la questione diventa “sua”: è lui che non vuole andarci; tu che cosa puoi fare in fondo? Ed ecco prendere corpo il drammone.
La realtà è che quelle lacrime sono le tue, tuo è il febbrone e pure la pappa sputata in faccia alla maestra dell’asilo! Quella squisita simbiosi fra madre e bambino, che perdura a vita ma nei primi anni è fortissima, fa sì che il suo modo di approcciarsi alla vita, di affrontare i cambiamenti e relazionarsi con gli altri, altro non siano che la manifestazione istintiva e ingenua di ciò che tu provi. Il cordone ombelicale che vi ha tenuto uniti è stato tagliato da poco. Hai presente quando senti dire da chi ha subito un’amputazione che per molto tempo quell’arto è stato avvertito come sempre vivo e presente? Ecco, più o meno fra te e il tuo piccolo accade la stessa cosa: tu provi dolore e lui lo manifesta con il pianto, tu non vorresti staccarti e lui ti tende le braccia, tu non ti fidi e lui fa fatica a interagire.
È vero, questa fase della vita è estremamente fragile e delicata, e il bisogno reciproco di una costante presenza è naturale e salutare. Ma santo cielo, si tratta di qualche ora, e se hai la necessità di ricorrere al Nido significa probabilmente che lavori (fortuna non da poco di questi tempi!), e poi … non sta partendo per la guerra!
Allora cerca di mantenere il contatto con la realtà e, utilizzando il buonsenso, fatti un esame di coscienza fra te e te.
- Quanto ti pesa lasciargli la mano?
- Quali e quanti timori ti assalgono?
- Sono giustificati?
- Quali alternative hai?
La tua tranquillità e fiducia saranno anche le sue.
Fatto? No?
Allora forse poi valutare se sia il caso di ricorrere anche a un altro aiuto: una sorta di Nido per i tuoi timori e le tue indecisioni che si chiama “TSS – Terapia a seduta singola”. Chiamami, anche solo per sapere di che cosa si tratta, ma prima, ti prego, vai a liberare tuo figlio da quell’imbottitura prima che si sciolga!
E dunque …
… Buon Vento!
Federico Piccirilli
Psicologo Psicoterapeuta
Terapia Breve
Terapia a Seduta Singola