Il mio percorso terapeutico è iniziato circa 15 mesi fa, in un periodo che definisco sicuramente critico quanto significativo.
Premetto che avrei volto iniziare la terapia qualche tempo prima; più volte c’ho riflettuto, ma sono riuscito sempre abilmente a rimandare. Nell’indecisione sono arrivati alcuni episodi di ansia piuttosto importanti, che mi hanno dato la spinta decisiva, insomma sono riusciti a “far traboccare il vaso”.
Questi episodi si sono verificati inizialmente durante la notte, mentre andavo a dormire, poi per un paio di volte anche di giorno.
Inizialmente sono stato sconvolto dagli effetti “fisici” (una grande sensazione di tensione, tachicardia, sudorazione, quasi un tremolio), successivamente la mia attenzione si è spostata sugli effetti psicologici, ovvero un piccolo crollo delle certezze che accompagnano la nostra quotidianità. Si è instaurato in me un flusso di pensieri negativi, angoscianti e una sensazione di paura che mi accompagnava durante tutto il giorno e in alcuni momenti in particolare.
Sembrava come se la giornata fosse un percorso a tappe: da un’angoscia/paura a quella successiva.
Iniziando il percorso devo dire che gli episodi critici, legati alle manifestazioni fisiche sopra menzionate, si sono arrestati quasi completamente e immediatamente; credo, se non ricordo male, di aver provato tali sensazioni al massimo un altro paio di volte.
Le paure ed i pensieri negativi si sono prolungati per un periodo maggiore.
Quando si verificavano provavo spesso una sorta di nervosismo, per non riuscire ad evitare, cadendo, quindi, “nella trappola” e alimentando il tutto. Con il passare del tempo ho imparato ad ironizzare, ancora dopo a controllarli e ad averne una maggiore coscienza, controllo. Ricordo di avere utilizzato una metafora piuttosto significativa in una seduta: immaginavo di poter figurare i pensieri negativi come legati da un filo, quasi a formare un canovaccio che potevo tenere tra le mani e quindi giocarci o buttare quando ne avevo voglia.
Rileggendo queste stesse righe e portando alla memoria questo passato mi accorgo che la mia era quasi una battaglia per tornare alla normalità; perfettamente munito di spada e corazza mi ponevo nel percorso terapeutico come un cavaliere di fronte al “suo drago”. Solo con il passare del tempo ho iniziato a comprendere che tutto il lavoro messo in piedi in realtà giocava su livelli altri, meno battaglieri e più riflessivi e costruttivi.
Stavo e sto tuttora lavorando per ristrutturare e ridefinire la mia quotidianità, la mia progettualità, le mie finalità; questo passaggio, seppur iniziato molto tempo prima, si è svelato completamente solo di recente. Per avere un riferimento concreto, circa un anno dopo l’inizio del percorso.
Ora mi confronto con questo nuovo livello, quindi rispetto ai miei obiettivi futuri; certamente non più rispetto alle paure, alle ansie, alle angosce descritti precedentemente.
Un altro gradino che sto affrontando riguarda il riconoscimento delle mie debolezze, dei miei aspetti critici.
Questo fa si che io possa lavorare su tali aspetti, esplicitarli durante i colloqui e soprattutto verificare se sto avanzando, retrocedendo o restando immobile.
Non so se esclusivamente per le mia persona, ma credo in generale, l’immobilità, il lasciar scorrere aspettando “tempi migliori”, la speranza che le cose mutino sa sole, rappresenta un meccanismo negativo e frequente di cui spesso non si ha la piena coscienza.
Il rimando quindi della terapia, il confronto su quanto e come si sta lavorando su se stessi rappresenta un aspetto di notevole importanza.