31 + 14 = 45 45 : 8 = 5,6
Non sto ripassando le operazioni base, quelle delle elementari, … addizioni, divisioni … sto semplicemente e tristemente constatando che dallo scoccare del 2021 a domani, San Valentino, per un totale di appena 45 giorni pari a un mese e mezzo, nel nostro paese non si riesce a superare una media di 5 giorni senza che una donna venga uccisa dal proprio compagno, ex, o aspirante tale.
Una di loro scriveva solo pochi giorni fa sul suo profilo social: “Se vuoi dei fiori il 14 febbraio, fatti ammazzare il 13”. Alla luce di quanto successo a distanza di qualche ora, questa si rivela essere ben altro che una macabra battuta. Forse piuttosto una richiesta di aiuto. Crede invece di aver fatto la battuta del secolo l’idiota che ha postato commentando: “e invece il marito ti ha fatto la sorpresa”.
Nel corso di una trasmissione televisiva molto popolare, è andata in onda l’intervista a una donna “che ce l’ha fatta”, ovvero molto più semplicemente, che non è morta. Se non fosse per questo dettaglio, la sua non sarebbe che la fotocopia di altre migliaia di storie. Di queste, un numero sempre e comunque troppo alto, assurge a diritto di cronaca perché termina con la donna sul tavolo dell’obitorio, le altre sono semplicemente taciute.
Si chiama Maria, e non è un nome di fantasia perché lei è una che ci mette faccia e nome. Parla serenamente, quasi incredula a tratti, persino ingenua, quasi raccontasse di un’altra, o di un incubo; il suo tono è comunque determinato e sicuro sempre, con una velatura di orgoglio per essere non solo viva, ma testimonianza vivente e quindi strumento di verità, di forza per altre.
E lui? L’assassino?
Non gli è andata poi così male: appena 6 anni dietro le sbarre, perché in fondo assassino non è dato che lei è viva. Sei anni, probabilmente meno tra un cavillo e l’altro, dopodiché per la giustizia avrà espiato il fallito omicidio della sua donna, la madre di sua figlia, della ragazza che aveva portato all’altare vestita di bianco, timida, sorridente e innamorata.
Maria non è morta. Sul suo corpo è piovuta una serie impressionante di coltellate, sulle gambe, sulle mani, sulle braccia, sul collo … ma non l’ultima, quella mortale, grazie all’intervento di un vicino di casa. Non è morta, e questo rende l’assassino molto po’ meno assassino.
Maria racconta come è arrivata a quel giorno, la sua vita di giovane sposa che resta sposa ma sempre meno giovane, di moglie, di madre, di donna che sopporta un po’ per mitezza di carattere, un po’ perché crede che sopportare rientri fra quei compiti che ha giurato di eseguire, di illusa che a poco a poco si disillude. Più però passa il tempo più qualcosa si rompe, dentro e fuori; ormai fatica a sopportare le violenze fisiche e psicologiche, ma poi torna a cuccia, buona buona, sempre più silenziosa, sempre più a capo chino, sempre più svogliata, meno individuo e sempre più cosa, oggetto, proprietà privata.
Due punti colpiscono nel suo racconto:
il primo, quando si reca da un avvocato. Non dice delle violenze, delle botte, delle mani strette al collo; non mostra lividi, anche se ne ha parecchi, chiede semplicemente delucidazioni su quali siano i suoi “doveri”: cucina, casa, sesso;
il secondo, quando una mattina presto, mentre sta facendo il caffè ancora in vestaglia, lui, con un coltello in mano le dice semplicemente, con lo stesso tono con cui avrebbe detto “ora devo andare a lavorare”: “Ora ti devo uccidere”.
Un elemento comune, un filo sottile e tenacissimo che unisce questi due punti focali: “dovere”.
- Quali sono i miei doveri?
- Ti devo uccidere. Maria non è una persona. È una proprietà.
San Valentino e il femminicidio: la correlazione è forte perché la molla che scatena la furia assassina è l’amore … o meglio un surrogato di amore, una contraffazione di esso, un orribile fantoccio travestito da amante.
Parte da un equivoco, ovvero dalla convinzione, condivisa dalla stessa vittima che la vive inizialmente come una lusinga, che l’amore per essere tale deve fondarsi sull’idea di possesso dell’altro. Gelosia ossessiva, annullamento della socialità, rinuncia alla condizione lavorativa, vengono intesi quali forme, magari estreme, di protezione, e come tali accettate se non addirittura desiderate.
Maria non lavora fuori casa, non guida. Ciò non parte da una sua specifica scelta, ma dalla condizione stessa di moglie fortunata “che non ne ha necessità”. I doveri che sente suoi, che crede di aver sottoscritto con un atto non solo morale ma pure formale, sono cucinare, lavare, stirare, tacere, sopportare e aprire le gambe a comando. Fine. Il resto – una pizza ogni tanto, un fiore, un sorriso – è solo affidato al buon cuore di suo marito.
“Mi scusi … vorrei solo sapere quali sono i miei doveri”, chiede all’avvocato. “Nessuno. Lei non ha alcun dovere nei confronti di suo marito”, si sente rispondere.
Nella sua mente scatta qualcosa. Esce che non è più una proprietà, ma un individuo, una donna che può decidere se e come cucinare, lavare, stirare e aprire le gambe. Resta, perché vuole che la figlia abbia un padre, ma sceglie un’altra stanza dalla quale lui è tenuto fuori con la chiave. Maria non è più una proprietà. Lui però non sa che cosa farsene di un oggetto che non solo non gli appartiene più, ma ha pure smesso di funzionare a dovere.
“Ora ti devo uccidere”, dice. È un dovere, quasi una fatica. Come una vecchia radio che non suona più e che “deve” essere buttata, con rammarico perché in fondo racchiude ricordi, azioni, tempi in cui cantava bene, per lui e a suo comando.
Ecco perché il femminicidio non è trattabile, sotto alcun punto di vista, come un normale delitto (… quanto mi pesa usare questa espressione … “normale”. Non c’è nulla di normale in un delitto, e già solo lo scriverlo mi provoca disagio).
Il femminicidio è un crimine di matrice culturale, e per questo doppiamente pericoloso in quanto non individua particolari caratteristiche sulle quali porre attenzione. L’unico modo per contenerlo è intervenire sull’educazione psicologica degli individui in quanto tali e in quanto parti attive della società. È quindi un fenomeno criminale da combattere attraverso l’educazione, e ognuno di noi è chiamato a contribuire, attraverso gli insegnamenti ai propri figli, l’esempio, ma anche il ricondizionamento del proprio modo di pensare. Esiste infatti tutto un substrato di sessismo e maschilismo benevoli (di cui magari una delle prossime volte parleremo), pericolosi quanto un ordigno inesploso.
Scrive l’Accademia della Crusca a proposito della definizione di femminicidio: “il provocare la morte di una donna, bambina o adulta, da parte del proprio compagno, marito, padre o di un uomo qualsiasi, in conseguenza del suo mancato assoggettamento fisico e/o psicologico”.
Alicia Muniz ha 32 anni quando viene uccisa nella notte di San Valentino a Mar de Plata, in Argentina, dove si scaldano al sole i pinguini. Nel pomeriggio ha detto che le piacerebbe poterli accarezzare; suo marito ha preso un sasso, ne ha ucciso uno e glielo ha portato sulla spalla, come un sacco insanguinato, per esaudire il suo desiderio. Lui è uno così, quando vuole una cosa la prende. Lei si arrabbia, rifiuta il regalo.
“Carlos voleva avere vicino una donna che non si arrabbiasse mai, che non discutesse con lui, che restasse lunghe ore a guardarlo mentre lui magari giocava a carte”, aveva detto in un’intervista Alicia.
Fanno l’amore sulla terrazza della villa fino a che qualcosa va storto nel meccanismo del bel giocattolo biondo e arrendevole.
Carlos Monzon, detto El Macho, uno dei più grandi pugili di tutti i tempi, dopo aver ucciso quella notte sua moglie, dichiarò: “Ero un po’ geloso, due minuti di pazzia vengono a tutti”.
A seguito della risonanza mediatica della morte di Alicia, le donne argentine cominciarono a denunciare, rompendo il muro di omertà e silenzio dietro il quale da secoli subivano violenza.
E allora diciamolo pure apertamente, senza aver paura delle parole che usiamo ogni giorno (nel titolo ho dovuto elidere per evitare il blocco della censura): Buon San Valentino un cazzo!
Buon San Valentino va detto ogni giorno, con il rispetto piuttosto che con cioccolatini a cuore, con la rottura di schemi mentali anacronistici e tossici (e a questo scopo la psicoterapia risulta estremamente efficace).
… c’è bisogno di aria nuova, ovunque nel mondo, qui a Monterotondo, dentro di ciascuno di noi. E allora, oggi più che mai, Buon Vento 😉
Federico Piccirilli
Psicologo, Psicoterapeuta
Terapie Brevi
Terapia a Seduta Singola
Ricevo a Monterotondo (RM), Fonte Nuova (RM) e ONLINE