Avere la faccia come il … La versione burina di Giano

Avere la faccia come il … cu-bip! (a inizio articolo è saggio bipppare!)

È la versione burina di un’antica e gloriosa divinità condivisa da greci e romani, Giano, quello che su di una stessa capoccia monta due facce, l’una davanti, l’altra di dietro.

Lato A e lato B, senza però meglio definire quale sia il lato A e quello B.

C’è in tutte le forme di moneta, di carta e metallo, c’era nei vecchi dischi in vinile e nelle musicassette.

Secolo dopo secolo abbiamo svilito l’ambivalenza di questo glorioso dio, che possiamo immaginare già di suo non avesse una vita molto facile e comoda.

 

A Roma lo possiamo ammirare nel Foro Boario. Il suo nome, Jano, si rifà alla porta, ianua in latino. Due facce per vedere l’interno e al contempo l’esterno, e non a caso il mese che apre l’anno proprio da lui prende ispirazione, januarius. Dal momento che, poraccio, stava sull’uscio a controllare, aveva in dotazione la chiave e il bastone: ospitalità e botte da orbi.

La porta come simbolo di ogni individuo, e così al buon Giano, e alle sue due capocce, erano affidati il concepimento e la nascita.

Giano, con la sua doppiezza, è per sua natura inevitabile, e così l’iconografia l’ha traslato anche nei segni zodiacali dei gemelli e dei pesci, e, spingendoci in oriente, nello Yin e Yang.

Giovane/vecchio, bello/brutto, buono/cattivo, bianco/nero, vita/morte …

Tutto ha un suo corrispettivo, una doppia faccia di egual peso e importanza che si oppone e al contempi si integra.

 

Qual è il problema grosso di questo povero dio?

Il corpo.

Noi, che siamo un po’ paraculi, abbiamo tentato di cavarcela rappresentandolo quasi sempre a partire dal collo, lasciando l’incognita sul resto del malcapitato.

Qualche artista però ci ha voluto provare, con risultati piuttosto inquietanti; oddio, già la sola testa non è un bel vedere, ma l’azzardo di un torace e degli arti che sembrano messi lì un po’ a casaccio, senza un verso preciso, si trasforma in un qualche cosa di imbarazzante.

È vero, la doppiezza fa parte della natura; senza di essa nulla avrebbe senso. Per rifarci agli esempi di prima, non esisterebbe gioventù senza vecchiaia, bellezza senza bruttezza, bianco  senza il nero, bontà senza cattiveria, vita senza la morte, nonché il loro ordine inverso.

Ma la bifrontalità non si limita a questa sorta di elementi naturali e per certi versi astratti. In ognuno di noi esiste.

Siamo personalità complesse: maschile e femminile, spiritualità e materia, bontà e malvagità.

Tutti siamo figli di Giano. Sul collo montiamo due facce, solo che a differenza del dio, che cercava di mantenersi in equilibrio su di un corpo in pieno stato confusionale, ne scegliamo una da piazzare davanti, e releghiamo l’altra a dove non batte il sole.

 

Quando la musica si ascoltava sui dischi, il lato b era sempre quello sfigato, che i più neppure ascoltavano.

Chi di noi non ha avuto una zia che davanti era sempre impeccabile, con i riccioletti belli tondi e la collanina di perle, ma che quando si girava mostrava un portentoso nido di merlo fra i capelli?

«Ma sì, tanto non si vede», cercava di giustificarsi.

Idem per lo zio con il riporto.

Con il nostro lato posteriore, tanto fisico che mentale, siamo e restiamo piuttosto ingiusti e poco attenti.

Addirittura stentiamo a riconoscerlo.

Quando il parrucchiere ci piazza quello specchietto alle spalle per mostrarci orgoglioso il risultato del suo capolavoro, sfido chiunque a sostenere di osservarlo con attenzione e vero senso critico: «Sì, sì. Va bene!», ma in realtà di quel tipo di spalle riflesso ci frega ben poco.

E chi sarebbe veramente in grado di riconoscere la foto del proprio fondoschiena senza farsi venire almeno un dubbio?

Pensare che invece è proprio il lato B che il resto del mondo di noi vede e osserva, spesso con più attenzione e insistenza, magari senza farsi notare.

Tendiamo a collocarci alle spalle il lato più vile di noi, quello che ci viene più comodo non vedere.

La smagliatura sulla calza (mi rivolgo alle signore): insopportabile davanti, tollerabile di dietro. E così una macchia sull’abito.

Cosa ci ha fatto di male il lato B per essere relegato … a lato B?

In realtà nulla, anzi, è spesso più sincero di quello nobile, del lato A, ma ci viene comodo così.

Esso è il tappeto sotto cui nascondere la polvere, lo sgabuzzino dello sgombero della nostra coscienza, il lato della canzone stonata della nostra vita, un brutto regalo avvolto in una bella carta, un piatto andato a male mascherato da una salsa piccante.

La faccia rivolta in avanti, quella che abbiamo scelto di mostrare e curare al parossismo, non vede quella che sta dietro, o meglio non la vuole vedere, e così i nostri due lati, invece che aiutarsi e cooperare, s’ignorano e disprezzano.

Quella faccia trascurata, quella “di …”, però talvolta s’impone, preponderante, spalanca la porta senza bussare e ci si mostra.

Ci fa paura. Forse perché è la parte più vera di noi, quella che non pettiniamo davanti allo specchio, che non trucchiamo, alla quale non facciamo la barba, e che a torto schifiamo.

È la nostra “faccia di culo”, la faccia nascosta della luna.

Espressione usata impropriamente, essa dipinge in realtà noi stessi per quello che veramente siamo.

Sono le rughe che chiedono aria da sotto al lifting, è il pianto che ricacciamo in gola per non sembrare deboli, è la barba fatta di malavoglia, è il tatuaggio che non abbiamo il coraggio di fare, è la follia di fermarsi a guardare un tramonto e chiedersi se il sole fa veramente il bagno nel mare.

È la sfumatura rosa del principe azzurro a cavallo, o quella azzurra della principessa tutta rosa e pizzi.

È anche la mano che si ritrae davanti a un’altra che le si tende, ma poi prega.

Al nostro “signor io” si oppone un suo doppio, sbattuto alle spalle ma vivo e vegeto, che chiede prepotentemente di essere mostrato e ascoltato.

Quando diciamo “avere la faccia come il culo” lo intendiamo per un insulto. Siamo però sicuri che il secondo sia peggio del primo? Avete idea di quanti lati B dei dischi erano in realtà molto migliori del lato su cui era inciso il successo?

È forse più vero che chi ha la faccia come il … è semplicemente più onesto e limpido; è qualcuno che è riuscito nella difficile impresa di mantenere in equilibrio i due piatti della sua personalità, che non ha remore a mostrarsi per quello che si sente di essere, partendo dal presupposto che non si può essere sempre uguali.

Accettare tutte le sfumature di noi ci rende persone autentiche e concrete, che sanno dare il giusto peso all’apparire e all’essere.

Non basta ficcarci una cosa alle spalle per far sì che non esista, oppure, nella consapevolezza della sua esistenza, per farla diventare automaticamente brutta.

E poi, per finire, voglio rivelarvi una cosa: l’accettare e coccolare entrambi i nostri lati produce su di essi un piacevole effetto estatico.

In poche parole, smettono di bisticciare, e collaborano, generando un incredibile benessere interiore.

Giano, Yin e Yang. Questione di equilibri e completezza, cosmica ma soprattutto individuale.

Provare per credere: un viso e un fondoschiena che attraversano il mondo con sguardo, e chiappe, alti e fieri!

Allora, convinti a rivedere il significato della frase “avere la faccia come il …”?

 

Fatemelo sapere. Anche a questo vuole servire il mio blog, a esternare opinioni, lati B inclusi, spesso, come abbiamo fatto ora, scherzandoci un po’ sopra.

Buon vento, metti caso che a forza di soffiare rigiri la luna e ci mostri la sua altra metà!

Federico Piccirilli

Psicologo, Psicoterapeuta

Terapie Brevi

Terapia a Seduta Singola

Ricevo a Monterotondo (RM), Fonte Nuova (RM) e Online

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