“Bene! Bellissimo lavoro!”
(… certo! Ora mi prende pure per i fondelli … questa è l’anticamera
del licenziamento)
*
“Hai fatto molti miglioramenti! Ti ho messo un sette ben meritato!”
(ma non dica ca##ate! Mi ha messo quattro tutto l’anno, vuole solo
giustificare che mi bocceranno)
*
“Amore sei bellissima. Quest’abito ti fa un sedere stupendo!”
(Ok, faccio schifo e ho il culone! Guarda che l’ho capito che ti piace quella chiappesecche della tua collega … sono sicura che sta per lasciarmi!)
*
Nulla a che vedere con la modestia. Si tratta di autostima, e nella fattispecie, di bassa, bassissima autostima, autostima sotto il livello del mare.
“E che c’è di male?”, direte voi. Sostanzialmente nulla, non fosse che una considerazione di sé più piatta di una frittata è una specie di vaso di Pandora in cui proliferano chiusura, silenzi, senso d’inutilità, fallimenti, infelicità, demotivazione, complessi, fobie … devo continuare o è abbastanza chiaro? Riassumo in una sola parola: Tristezza (quella vera!).
Ma da dove viene il nostro modo di percepire noi stessi?
Fai conto di possedere lo specchio della matrigna di Biancaneve: tu domandi e lui risponde.
“Specchio delle mie brame, chi è il più figo del reame?”
“Ma sei tu, naturalmente”
Ecco il profilo di Narciso, il bellissimo giovane condannato a innamorarsi della sua stessa immagine fino a morirne. Il narcisista però non è Narciso, e neppure si accorge che lo specchio racconta palle, che in realtà l’immagine riflessa non è ‘sto granché! Lui si vede figo a prescindere, er mejo a tutto tondo, sul lavoro, a scuola, fra gli amici, nell’intero mondo. I difetti sono preziose particolarità, gli sbagli solo colpa di qualcun altro. Autostima alimentata a propulsione nucleare. Spesso si esaurisce in un fragoroso boom, talvolta produce disastri.
“Specchio delle mie brame, chi è il più figo del reame?”
“Tu no di certo! Guardati, fai schifo. Pure mia nonna è meglio di te!”
È l’insicuro per eccellenza, il malcontento, l’autocritico seriale. Un po’ “dolori del giovane Werther” e un po’ Woody Allen, con una spolverata di Fantozzi. Avrebbe sempre e comunque potuto e dovuto fare meglio, di più; i colleghi ricevono più considerazione, gli amici sono più fortunati, l’erba del vicino non è semplicemente più verde, è verde smeraldo, mentre il suo prato è più spelacchiato di un ratto della Cloaca Massima.
Autostima da speleologo. Per trovarla bisogna inabissarsi nelle profondità dell’io, dove probabilmente ci sono meraviglie da favola ma ben nascoste all’occhio umano. Il rischio autentico è di farle marcire lì sotto!
“Specchio delle mie brame, chi è il più figo del reame?”
“Mah, … ti dirò … non sei il top ma neppure malaccio. Se però cerchi di coprire quelle occhiaie da zombie forse potresti esserlo tu!”
Equilibrio, obiettività, giusta e costruttiva autocritica. In una parola, un pessimo cliente! Ergo, non me occupo … almeno qui.
Quello che ora sto per dirti ha del paradossale, ma ti invito a rifletterci con attenzione; tanto l’eccesso che il difetto di autostima partono dall’egocentrismo (non è che questo sia sempre negativo chiaramente!).
Egocentrismo significa porre il proprio “io” al centro dell’universo; una sorta di sistema solare dove tu sei il sole e tutto il resto pianeti che ti gravitano intorno.
Ora, puoi vedere te stesso:
- infinitamente superiore, luminoso, essenziale all’altrui luce; e allora viaggi al galoppo sul cavallo bardato del complesso di superiorità;
- questa tua centralità è un’oppressione, tutti ruotano più veloci, più grandi, più splendenti, oscurandoti, soffocandoti e mandandoti in confusione. Allora, come Wile Coyote, stai precipitando nel baratro del complesso d’inferiorità con tanto di sibilo.
In realtà la vita ha poco a che vedere con il sistema solare, anche se tutti tendiamo a porre noi stessi al centro, e questo è naturalissimo e connesso alla natura umana (e molte volte fondamentale!).
La vita assomiglia più a una grande strada, dove tutti ci spostiamo in direzioni diverse, talvolta sorpassando, talvolta restando indietro, spesso muovendoci affiancati e adeguando il nostro passo alla corrente.
Tutti possediamo risorse, doti e potenzialità, almeno quanto difetti e carenze. Difficilmente però abbiamo una corretta percezione di noi stessi; ci costruiamo pezzo a pezzo un’immagine che gratifichi e assecondi il nostro narcisismo, tanto che tenda al firmamento quanto agli abissi più neri, la coltiviamo e nutriamo con cura, e a quella ci abituiamo talmente da vederla a prescindere. Questo accade tanto per l’aspetto fisico quanto per gli strati più profondi e intimi dell’io.
Per avere un’idea di quanto quell’immagine sia però difforme da quella che gli altri recepiscono basta pensare a cosa ci capita quando ascoltiamo la nostra voce registrata: in pochi si riconoscono, praticamente nessuno si piace. Ciò accade perché non siamo abituati ad ascoltarci dall’esterno, e quindi l’idea che abbiamo del suono della nostra voce è un qualche cosa di puramente immaginario.
Pensate che nelle scuole di recitazione un esercizio è quello di parlare verso l’angolo di un muro facendo ala con i palmi alle orecchie; quello è il suono che meglio si avvicina alla voce che il pubblico sentirà, estremamente diverso da quello che ci immaginiamo di avere.
La stessa cosa succede a chi lavora con la propria immagine; i modelli, attraverso l’abitudine alla fotografia, acquisiscono di sé una visione vicina a quella che gli altri hanno. Noi, comuni mortali, quando ci vediamo in foto rischiamo l’infarto:
“Sono venuto uno schifo”, gli altri guardano e pensano: “no no, guarda che sei proprio così!”.
Ma chi vede il nostro io intimo? Nessuno, probabilmente neppure noi stessi, che però siamo chiamati dalla vita a servirlo, o ben cucinato e su di un piatto d’argento, o precotto in uno squallido usa e getta di plastica, oppure mezzo crudo, o scotto, in una stoviglia sporca. I cuochi siamo e comunque sempre solo noi.
Come dice Huxley “la realtà non è ciò che ci accade ma ciò che facciamo con quello che ci accade”.
- Innanzitutto, non mi stancherò mai di ripeterlo e non solo per quanto riguarda i problemi legati all’autostima, non stare a perdere tempo per cercare le cause, o presunte tali, delle tue insicurezze o dei tuoi insuccessi, o presunti tali. Quello che è stato, fatti, uomini e circostanze, è morto o comunque ha un piede nella fossa, è vecchio, marcio e polveroso, e decisamente troppo vintage per sostenere il peso del presente più quello del futuro che ti aspetta.
- Riparti, da oggi, da ora. Non rimandare a domani.
- “Non voglio trasformarmi in un Narciso. Non li sopporto”. C’è una grande differenza fra l’autocelebrazione spocchiosa senza se e senza ma, la boria, la prepotenza e il dare un giusto valore a sé stessi. In genere i primi si reggono sul nulla e prima o poi crollano. Sicuramente hai delle potenzialità, che hai paura di mostrare. Pensa a Orazio, non il cavallo in tuta da meccanico di Walt Disney ma il poeta latino: “Exegi monumentum aere perennius – Ho eretto un monumento più duraturo del bronzo”. Si riferisce alla sua opera. Cosa ci saremmo persi se non fosse stato consapevole della sua grandezza? Probabilmente ne avrebbe fatto un bel falò.
- Cerca di fare l’esercizio dell’attore, usa l’angolino non per nasconderti ma per osservarti da un punto di vista esterno, con onestà e senso critico. Sii il tuo pubblico, che non conosce i tuoi trascorsi ma vede solo il presente. Magari ti piacerai. Oppure può accadere che quello che vedrai e sentirai non ti piaccia per niente. Allora correggilo. Il tuo scopo è quello di essere al contempo l’attore e il suo pubblico soddisfatto, che scatterà in piedi per l’applauso.
- “E come cavolo lo correggo se non mi piaccio e sono un buono a nulla?” allora trovati un altro pubblico, più onesto e obiettivo di te. Si chiama psicoterapia (io prediligo la Breve) e ti prende per mano per aiutarti. Ti accorgerai che è più semplice di quanto pensi e il risultato ti piacerà, soprattutto quando vedrai che puoi lasciare quella mano e proseguire da solo.
Bene,
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Buon vento,
… e questa volta chiudiamo con Confucio:
Non preoccuparti se gli altri non ti apprezzano. Preoccupati se tu non apprezzi te stesso.
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