I palazzi hanno tremato, i pavimenti ballato, i lampadari oscillato; molte persone sono scese in strada. Pochi interminabili secondi in cui qui a Roma tutti abbiamo avvertito forte la scossa e avuto paura, parecchia paura!
Madri che telefonano alle scuole, scuole che telefonano ai vigili, vigili che telefonano ai vigili del fuoco, classi e uffici in cui tutti i cellulari si mettono a squillare, professori che cercano di ristabilire e mantenere la calma … urlando (!) – questa volta non è un’esercitazione -; tutti in strada, e poi in macchina “devo raggiungere mio figlio!”, traffico in tilt, clacson che si sovrappongono, antifurti impazziti, semafori dribblati, vigili che fischiano, saracinesche che si abbassano, portoni che si chiudono, ambulanze imbottigliate nel traffico, ragazzi che si baciano, bambini con lo zainetto in spalla che saltellano festanti perché per loro, si sa, il saltare la scuola è sempre fonte di gioia immensa.
Sui social è tutto un #: #pauradellascossa #terremoto #panico #magnitudo
Migliaia di smartphone e tablet sintonizzati su link che danno aggiornamenti in tempo reale e Facebook che restituisce video e notizie in diretta meglio dell’INGV (Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia)!
Duecento le chiamate ai Vigili del Fuoco, altrettante alla Protezione Civile … e allora, visto che i suddetti centralini davano occupato, qualcuno ha pure pensato di chiamare me:
“Dottore, mi aiuti, sono nel panico!”
“Pure io, signora mia, mica sono messo un granché! … comunque mi dica, … ma aspetti che esco da sotto il tavolo …”
L’Italia è un territorio altamente sismico, ormai lo sappiamo tutti; la storia geologica del nostro paese conta parecchi movimenti della terra anche disastrosi, e la dorsale appenninica, in particolare, si è data parecchio da fare in questi ultimi tempi.
Lo so, penserete che “mo’ Federico Piccirilli si è messo in testa di fare l’esperto di terremoti”; e invece no, lascio volentieri la materia a geologi e sismologi che fanno egregiamente il loro mestiere.
Lontano da me pure l’intento di fare facili discorsi su di un argomento tanto grave e delicato. Il dramma di chi vive un terremoto, ne subisce lutti, perdite di affetti e di beni, richiede spesso, a buona ragione, anche il supporto della psicoterapia. E non è uno dei compiti più facili, oltre a essere particolarmente gravoso, posso garantirvelo.
Colgo anzi l’occasione per dichiarare tutta la mia solidarietà e la mia vicinanza a chi sta vivendo questo incubo, che sembra non avere fine (mentre scrivo sto sentendo alla tv l’intervento di un esperto che afferma che dobbiamo aspettarci altre scosse a breve. Sciame sismico è il termine tecnico, e sto riflettendo che “sciame” rende egregiamente l’idea).
No, non ho intenzione alcuna di lanciarmi in disquisizioni sui movimenti tellurici; prendo però lo spunto per parlarvi un po’ di “attacchi di panico”, premettendo e ribadendo che, nello specifico, si tratta in realtà di paura, e più che giustificata.
Innanzitutto dobbiamo infatti fare una netta distinzione fra la patologia (D.A.P. Disturbo da Attacchi di Panico) e quella che invece è semplicemente identificabile come fifa.
L’attacco di panico vero e proprio non parte da un episodio specifico e oggettivo, arriva di punto in bianco, a “ciel sereno”, per attenersi alla metafora che si è soliti usare.
Senti nascere dallo stomaco una sensazione indescrivibile, mentre stai svolgendo le azioni più semplici e ripetitive della quotidianità, che arriva alla testa nel giro di pochi istanti.
Sei in macchina, o in una piazza, o al supermercato piuttosto che in un cinema, tutto intorno a te è tranquillo, usuale; nessun pericolo visibile.
Malgrado ciò, il terrore che stia per succedere “qualche cosa” ti assale, ti paralizza; la gola si chiude, il respiro si fa affannoso, i muscoli si contraggono, serpeggia quella sgradevolissima sensazione di freddo sudato, la vista si appanna e ciò che ti circonda si allontana e perde i contorni.
Ti senti solo e impotente, osservato da qualche cosa di spaventoso e invisibile che incombe su di te, facile preda, e osserva divertito il tuo smarrimento per cogliere l’attimo in cui potrà saltarti addosso. “Forse sto morendo”, pensi.
Non doveva essere un bel momento neppure per le Ninfe, leggiadre creature dei boschi, quando piombava su di loro il dio Pan, urlando come un ossesso, brutto come la paura, talmente brutto che pure la madre si era spaventata e l’aveva abbandonato, barbuto, cornuto e maleodorante, con gli zoccoli da caprone al posto dei piedi, ubriaco fradicio e perennemente ingrifato, con gli attributi al vento in evidente stato di attività e salute.
Le poverette, per sfuggirgli (anche se alcune, particolarmente generose, preferivano sacrificarsi per placare le sue smanie) arrivavano perfino a trasformarsi in qualche elemento della natura, piante di alloro, canne in riva a un ruscello … e quando proprio non gli riusciva di acchiapparne qualcuna, allora si dava il suo bel da fare a risolvere da sé la faccenda (non per niente è considerato il dio della masturbazione). Se volete sapere qualche cosa di più su di lui, date un’occhiata qui; per quello che è il nostro scopo vi basti immaginare un fuggi fuggi di ninfe e pastorelli, fra gridolini e tuniche svolazzanti; ecco il famoso “timor panico”.
Il termine panico ha infatti la sua origine, come avrete capito, proprio nel più brutto fra gli dei, il mezzo caprone Pan.
Ora torniamo a noi.
Anche se non sei inseguito da un caprone urlante iperdotato, sicuramente stai vivendo una situazione di forte stress, fisico o psichico quando l’attacco di panico arriva, e certamente per istinto ti trovi a comportarti più o meno come le Muse.
Nel tentativo di sfuggire o ti schianti contro qualche cosa e cerchi di mimetizzarti con essa (comportamenti di evitamento o autoprotettivi), oppure cedi alle sue lusinghe (comportamento di sottomissione).
Fra l’altro, c’è da notare che il buon Pan è l’unico dio del quale si abbia notizia che sia morto, e questo la dice lunga sulle ottime possibilità di sconfitta dell’annessa patologia.
“Non ho avuto un attacco di panico, ma ho avuto paura di avere un attacco di panico!”
afferma Robert De Niro in Terapia e pallottole, ed è proprio così.
Il timore che l’attacco arrivi è più forte dello stesso panico, e così si trasforma in “panico di avere un attacco di panico” …
Sono ben otto milioni gli italiani che ne soffrono o ne hanno sperimentato anche solo una volta la violenza. Non necessariamente l’episodio si ripete e nella quasi totalità dei casi non lascia strascichi.
Quando però si entra nella dinamica del riproporsi con una certa frequenza, l’attacco diventa patologia e il circolo si chiude.
Ecco un esempio:
Come potete vedere, nulla a che fare con la reale e comprensibile paura di un terremoto.
Per il Disturbo da Attacchi di Panico, l’aiuto di una terapia rappresenta la via d’uscita dal labirinto. La percentuale di successo è altissima, i tempi di risoluzione BREVI, e io sono qui per ascoltarti e risolvere insieme.
Nulla invece posso contro le forze della natura, se non cercare di stemperare reciprocamente l’umana sensazione di impotenza, condividendo con te la speranza che non succeda nulla e l’attesa che passi in fretta.
Appare in questo momento sullo schermo il volto di Marzullo (vedete che ora ho fatto!), con il suo consueto “si faccia una domanda e si dia una risposta”.
Ci voglio provare pure io.
“Federico, riuscirai a dormire questa notte, anche se dovessero esserci altre scosse?”
“Ti dirò, Federico … preferisco risponderti tramite il grande Totò: Coraggio ce l’ho. E’ la paura che mi frega!”
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Buon vento … calmo, possibilmente!
Federico Piccirilli
Psicoterapeuta
Esperto in Terapia Breve
Letture cosigliate:
G. Nardone
La terapia degli attacchi di panico: Liberi per sempre dalla paura patologica