Misantropo, misogino… manca qualcosa

Le parole come testimonianza della società e dell’evoluzione della civiltà.

Non solo. Le parole anche come specchio dell’anima.

Prendiamo due termini di uso comune: misantropo e misogino.

Comune è l’origine greca, e comune è il suffisso “misos”, ovvero “odio”. A seguire abbiamo “antropos”, che significa “uomo” in senso generico di “umanità”, e quindi non connesso al genere, e “gyno”, dal termine che significa “donna”.

Odiatori, null’altro che odiatori. Odiatori dei propri simili gli uni, e odiatori delle donne gli altri.

Non sono molte in verità le parole che utilizzano questo suffisso, mentre tantissime e in costante evoluzione sono quelle che usano il suo contrario, ovvero “filos/amore” (filantropo, cinofilo, filatelico, filosofo, …). Idem possiamo dire per “fobia/paura”, al punto di non dover neppure produrre esempi.

Misantropo e misogino. Possiamo affermare che sono due termini solitari.

«Beh? Cosa ti è preso, Federico? Da psicologo sei diventato un accademico della Crusca?»

Proprio no, tranquilli! Non mi oserei mai, per la carità, ma neppure vorrei, in realtà!

È proprio perché sono e resto psicologo che mi soffermo a fare un’analisi di questa bizzarra situazione linguistica.

Come vi ho già detto, durante il tragitto che svolgo ogni giorno, dalla mia abitazione allo studio, l’osservazione di quello che mi circonda e che incontro in Monterotondo, albe, tramonti, natura, persone, animali, mi accompagna con lunghe riflessioni, che poi, in questi miei articoli con cadenza settimanale, mi azzardo a esprimere, sperando di non annoiarvi.

Quella sullo strano uso limitativo del suffisso greco che indica “odio”, è una di queste.

Dunque, cercando di spiegarmi:

il misantropo è un odiatore del genere umano; il misogino è chi prova odio verso il genere femminile. E poi?

Non vi pare che manchi qualcosa?

A me sì. Non trovo l’equivalente per il genere maschile.

Vediamo un po’… “odiatore dell’uomo”, inteso come genere maschile. Non trovo la parola; anzi, in realtà, ricorrendo a Google, il termine esiste, come “misandria”, ma non ne corrisponde la costanza  e diffusione del suo uso. Nasce in epoca più recente rispetto agli altri due termini, misantropo e misogino, ed è quasi esclusivamente legato a un uso erudito e classico.  In un articolo dell’Accademia della Crusca si ribadisce che il suo utilizzo, nei primi dieci anni del nostro secolo si limita a numero 5 occorrenze, che salgono a 20 dal 2010 a oggi.

Non vi sembra strano? Cosa vi fa pensare?

Nell’attesa di notizie in merito, mi permetto dunque di esternarvi la mia riflessione.

È quasi come se la lingua avesse la capacità di indirizzare il pensiero, oltre che ovviamente viceversa.

Misantropo è in realtà un concetto astratto, quasi una figura fantasy, mitologica. Una sorta di “araba fenice” che, come diceva Metastasio, “che ci sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa”.

Sì, perché nasce da una contraddizione intrinseca: odiare il genere umano non ha senso, in quanto dobbiamo necessariamente presupporre che il misantropo odi e disprezzi se stesso, in quanto parte del genere umano, e questo non corrisponde alla realtà. Quello che caratterizza il misantropo è un fastidio, forte e condizionante, verso gli “altri”, che in realtà non sono altro che suoi simili e quindi una sua proiezione. Un fastidio che si traduce in isolamento e rifiuto di socialità, in costante giudizio negativo: gli altri sono stupidi, puzzano, sudano, parlano, respirano, vivono …

Il misantropo  null’altro è che un egocentrico, odioso, antipatico, scontroso. È qualcuno che, nella patetica convinzione della propria superiorità, rifiuta la sua natura umana in comune con altri. Per questo in genere il misantropo finisce per sviluppare patologie quali la depressione e sindromi maniacali o paranoiche, originate proprio dalla contraddizione fra ciò che è e ciò che rifiuta di essere.

 

 

Chi è invece il misogino?

Il misogino, come più volte ribadito e come tutti sappiamo, è colui che odia le donne, le femmine della sua specie. È in verità un personaggio assai complesso, che si snoda attraverso la storia e la letteratura (ricordiamo ad esempio La Locandiera di Goldoni, che tutti abbiamo studiato a scuola, dove la bella Mirandolina riesce a sciogliere quella gran testa di … del marchese di Ripafratta, o anche Moliere) in parecchie sfaccettature. Il misogino è subdolo, perché spesso è – o meglio si vanta di essere – un grande seduttore. Il suo odio in questo caso si rivolge alla donna “pensante”, quella che si discosta dal suo unico concetto di “oggetto sessuale”, bella, sensuale e soprattutto muta. Esprime un fastidio generato dalla convinzione di una netta inferiorità del genere femminile nei confronti del maschile, rifiutandone quindi ogni rivalsa sociale, nonché da una sorta di vittimismo.

È infastidito – o infastidita, in quanto pure alcune donne, seppur in misura nettamente inferiore, ne sono colpite – dalla donna che rivendica diritti e posizioni di parità, oppure anche solo semplicemente l’assenza di vincoli che la releghino a quel ruolo marginale che millenni di storia le hanno assegnato.

Complesso e ampio è il suo studio in ambito psicologico.

Non voglio però addentrarmi in un’analisi del fenomeno, quanto piuttosto, come ho detto all’inizio, limitarmi a considerare la valenza sociale della mancanza di un suo concreto corrispettivo linguistico nel vocabolario dei Sinonimi e Contrari.

Le parole hanno peso, e condizionano fortemente il pensiero e l’atteggiamento di un’intera società.

Se dunque è vero che la lingua ci offre l’espressione per manifestare l’odio solo verso il genere femminile, ne consegue che questo stesso linguaggio svincola l’odio verso le donne ma non viceversa. Il nostro è quindi un linguaggio sessista e maschilista, in grado di condizionare in tal senso il pensiero.

Ora, quello che mi preme particolarmente non è affatto promuovere la rivincita dell’odio verso  l’uomo/maschio, ma piuttosto l’annullarne la valenza, in entrambe le accezioni.

Diciamo pure che non è che manca il termine “odiatore/odiatrice del maschio”, ma piuttosto è la parola “misogino” a essere di troppo!

Un termine dunque del quale la lingua non dovrebbe proprio sentire la necessità, e quindi, analogamente a tanti altri, farlo cadere in disuso,

Rileggendo quanto fin qui scritto, mi rendo conto di essere stato piuttosto pesante. Non è il mio solito stile, ne convengo, e allora vorrei chiudere facendo un’ultima semplice considerazione, non da psicologo ma da uomo, che ama e non odia, che ama, rispetta e stima la donna che gli è accanto, tutte le donne che la vita gli ha messo accanto, piccole e grandi, e tutte quelle che incontra, e che riconosce in esse un diritto alla rivincita nei confronti di una storia che le ha sempre relegate a fattori marginali, persino nelle espressioni verbali.

In una società dove una donna viene uccisa ogni 60 ore, dove l’insulto più comunemente usato è “puttana”, dove gli stipendi non sono uguali fra i sessi, dove la violenza sessuale è ancora un crimine trattato con troppa superficialità, dove l’essere infastidita e ricattata sul luogo di lavoro è purtroppo ancora spesso la norma, il termine “misogino” è una vera e propria piaga.

Da un punto di vista professionale, è quindi indubbio che si tratti di una patologia che necessita di cura, ma da quello esclusivamente linguistico direi che potrebbe essere inglobato a pieni voti nell’espressione di uso comune “grandissimo stronzo”, con buona pace del greco, degli accademici della lingua e con grande sollievo di chi parla come magna.

Buon vento, bello forte questa volta, nell’augurio che sia d’aiuto nel dare aria al cervello.

 

Federico Piccirilli

Psicologo, Psicoterapeuta

Terapie Brevi

Terapia a Seduta Singola

Ricevo a Monterotondo (RM), Fonte Nuova (RM) e Online

 

 

 

 

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