Cosa fare al cospetto di un amore moribondo?
Sedersi al suo capezzale e attenderne la fine, o il miracolo, oppure scegliere di giocare al malato e all’infermiere?
Innanzitutto converrebbe appurare le reali condizioni del moribondo. Non sempre infatti a una cattiva cera corrisponde un piede nella fossa né viceversa. La prima regola è dunque non organizzare funerali in assenza del morto.
L’amore vive di vita propria; viene concepito, partorito, svezzato. Talvolta muore giovane, e non necessariamente lascia un bel cadavere, talaltra invece è più longevo dell’indistruttibile Queen Elizabeth e vi sopravvive; il più delle volte invece assistiamo impassibili e impotenti al suo declino.
L’amore assomiglia anche a un albero di Natale, di quelli sradicati e tenuti a seccare tristemente sul balcone, che grazie al cielo non si usano più, sostituiti dai sempreverdi finti e riciclabili all’infinito.
L’amore è anche un uovo di Pasqua.
Sapete come stanno attaccate le due metà? Cosa fa da collante? Semplicemente il calore che ne fonde la sostanza in una sola e crea la forma finale. Si delinea, a seconda dell’abilità del pasticcere ma anche in funzione della qualità della materia, una cicatrice più o meno visibile e a più o meno salda tenuta, che mantiene distinte le due parti seppur nella loro unione. L’anima, il cuore, stanno nella sorpresa, che resta preziosa fino al momento della rottura.
Che fare dunque di fronte a un amore che accusa una sospettosa e fastidiosa tosse o respira asmatico, dal colorito cianotico?
Aspettare? È una scelta che riscuote un notevole seguito ma non offre soluzioni. È la scelta comoda, dell’inedia, rischiosa proprio perché tale; sedersi nell’attesa che sia il fato a operare la scelta diventa snervante, al punto che anche nell’eventualità che avvenga il miracolo e riprenda a respirare autonomamente, verrà accolto come un sopravvissuto, una specie di zombie, difficile da gestire e reintegrarsi nella quotidianità. Avrai infatti maturato l’idea, nel corso di quelle lunghe ore al suo capezzale portatrici di mal di schiena, che in fondo puoi farne anche senza, che già stavi per elaborare il lutto, accidenti. La sua riabilitazione è fatica e, strisciante, s’insinua l’idea che no, non sarà più quello di prima. Tutto sommato, ti chiedi quale realtà parallela abbia vissuto nella fase del coma e se questa nuova vita da cadaverino ambulante abbia un senso o sia solo una crudele forzatura del destino.
Agire? Sì, gli attori agiscono, lo dice la parola stessa, altrimenti cessano di essere attori, e tu sei l’attore coprotagonista della sceneggiatura di quell’amore moribondo. Agire, ma come? Nella stanza dell’amore moribondo ci sono due porte: una conduce alla tomba, l’altra all’ospedale, o meglio al tentativo di cura. Quale scegli?
La porta che conduce al cimitero ti offre ulteriori tre possibili scenari:
- Eutanasia. Ovvero la morte dolcemente accompagnata per mano. Grande problema etico, non più facile da gestire se ad essere accompagnato al sonno eterno è l’amore. Richiede coraggio e comune consenso, nonché la volontà specifica del moribondo stesso. In sua mancanza si chiama crimine.
- Un solo colpo secco. Simile al “colpo di grazia”, quello inferto per una presunta idea di pietà, al fine solo apparente di evitare inutile sofferenza. È in realtà un atto di assoluto egoismo, mirato a ripulire la coscienza attraverso la menzogna. È pure difficile da assestare con maestria, perché oltre a una bella dose di crudeltà implica un pizzico di coraggio e la freddezza di saper imporre la giusta traiettoria senza pericolosi tremolii che produrrebbero solo una dolorosa agonia.
- Una morte lenta e dolorosa. Sei un sadico, e come tutti i sadici svirgoli nel masochismo. Quell’amore che godi a veder ansimare e perdere colore, è una tua creatura, parte di te, e la soddisfazione di vederne la fine naufraga nella tua stessa sofferenza. È la più disastrosa delle scelte possibili, che provoca un effetto a catena destinato a travolgere pure te e chi ti sta intorno.La porta verso la cura non è più semplice e anch’essa offre un buon ventaglio di scelte:
- Metodo del santone. Beh, qui sfociamo nella più becera superstizione. Incapace di agire o prendere una qualche decisione ti affidi all’imperizia di chi ti osserva da dietro una sfera di cristallo: è l’amico che suggerisce consolidate tecniche, sul tipo “corna terapeutiche” piuttosto che “distacco a tempo”, oppure la messa a punto della “tecnica dell’impagliatore di amori”. Puzza un po’ ma con il tempo ci si fa l’abitudine.
- Accanimento terapeutico. A prescindere. Lo si mantiene in vita comunque, a forza. Non dà segni di attività vitale ma non importa; saperlo lì, immobile e assente fa stare comunque bene, gratifica e solletica l’orgoglioso ed edificante spirito della crocerossina, ovviamente declinato anche al maschile.
- Metodo dell’Allegro chirurgo. Chi non ci ha giocato alzi la mano. Consiste nel prelevare a casaccio gli organi più o meno vitali per metterli magari sotto formalina, cercando di fare il minor danno possibile e confidando nel naso che si accende e suona se si sbaglia l’affondo. Ok, non funziona. Confido nella vostra intelligenza e ritengo superflua ogni ulteriore spiegazione.
Che fare allora?
Ricordiamo che stiamo parlando di un moribondo, non di un morto. Urge quindi innanzitutto una diagnosi, seria e professionale. Bando al santone e al fai da te; la psicoterapia è decisamente più efficace. Ovviamente prevenire è meglio che curare ma è altrettanto vero che la prevenzione non è sempre possibile né incontestabilmente efficace.
Appurato quindi che non si tratta di un banale raffreddore o di qualche altro passeggero malanno di stagione, sarà necessario approfondire le reali possibilità di guarigione e, nel caso, predisporre un piano di cura.
Dove? Da chi? Ma da me, ovviamente! Chi altri! Ovviamente scherzo. È solo un espediente per farti capire quanto la psicoterapia possa venirti in aiuto. Scegli lo psicoterapeuta che più ti convince … tenendo conto però che a Monterodondo c’è Er mejo!
Ricordi la metafora dell’uovo di cioccolato? Ebbene, due metà a formare un tutt’uno; se si agisce solo su di una delle parti è possibile che la presa non regga. Consapevolezza dunque, reciproca e personale a un tempo, e volontà di affidarsi a una comune strategia. Se infatti con il moribondo si gioca al tira e molla, con l’uno che trascina da una parte e l’altro da quella opposta, non servirà più uno psicoterapeuta ma un miracolo, tecnica per la quale non siamo ancora attrezzati.
Ripeto: moribondo non significa morto. Finché c’è vita c’è speranza e se un amore ancora respira, beh, vale la pena aiutarlo a trovare aria pura che gli faccia riacquistare colore e funzionalità polmonare. Almeno provarci. È in questi casi che una bella ventata può fare la differenza.
Buon vento allora, e ricorda che tenendosi per mano si vola meglio.
Federico Piccirilli
Psicologo, Psicoterapeuta
Terapie Brevi
Terapia a Seduta Singola
Ricevo a Monterotondo (RM), Fonte Nuova (RM) e Online