La RISPOSTA, ovvero la panacea a cui tendiamo mani avide e sotto il cui tetto troviamo riparo e conforto.Risposte, questo vogliamo, chiediamo e pure, purtroppo, dispensiamo.
I politici si affannano a dare risposte, i genitori danno risposte, la scuola, la società, la fede, la scienza, la medicina, la logica … ahpppperò! Fateci caso, siamo strapieni di ‘risposte’. Risposte su tutto e su tutti.
Ne abbiamo talmente tante che quasi quasi il pensare diventa un’inutile fatica.
Dal sostantivo Risposta deriva responso = giudizio, ma di più: insindacabile giudizio, decisione superiore.
Un oceano di risposte/responsi prêt-à-porter; una sorta d’immensa Wikipedia, “cultura veloce” di cui servirci “alla bisogna”.
E poi, in questo oceano di risposte, galleggiano come barchette di carta arte, filosofia e psicologia, le tre sorelle disobbedienti. Sono sì di carta, ma di una carta impermeabile e talmente leggera da superare le tempeste, non andare mai a fondo e capace pure di librarsi sulle ali del vento e sorvolare dall’alto, osservando e irridendo con una punta di puzza sotto al naso e consapevole superiorità.
- La filosofia, della risposta si prende gioco: si diverte con la mente e le sue spire, in una specie di eterna ed inesauribile Settimana Enigmistica che prevede milioni risposte nessuna delle quali ha la pretesa di essere soluzione.
- L’arte è quella allergica agli schemi: mescola, sublima e irride bello e brutto, buono e cattivo, in continuo divenire e rinnovarsi. Per lei la risposta non esiste proprio.
- E poi c’è la psicologia, che fa come i salmoni: risale la corrente al contrario e, a fronte di risposte,crea domande.Che cosa ce ne facciamo infatti delle risposte se non abbiamo domande?
E poi, è più importante la risposta o la capacità di generare domande?
Pensiamo a coloro che sono gli indiscussi imperatori della domanda, ovvero a quel noi lontano ma sempre presente, mascherato sotto barbe sapienti e incespicante sulla strada della vita in scarpe mezzotacco: i bambini.
Con le loro domande, nelle prime fasi della crescita mettono a dura prova il nostro equilibrio psichico ma anche la loro stessa incolumità:
perché la mela è rossa? Perché il sole è giallo? Perché la fiamma brucia? Perché il papà non ha i capelli? Perché la mamma ha il sederone?
Perché, perché e ancora perché.
«La mela è rossa per essere attraente, il sole è giallo perché è fatto di fuoco, la fiamma brucia perché ne devi starne lontano altrimenti ti fai la bua.
Il papà ha perso i capelli e la mamma ha il culone perché … Perché! Perché sarai piccolo ma sei pure un po’stronzo. Ecco perché! E perché non si può pretendere di sapere tutto. Ti è chiaro, piccolo maleducato arrogante!»
Manco attende la risposta, il pupetto. Una, via l’altra, in un’ininterrotta sequela di perché-perché-perché, e che della risposta non gli può interessare di meno lo dimostra che il più delle volte t’interrompe, mentre scavi nel tuo bagaglio culturale, nelle memorie scolastiche, nel regno dei nessi logici, sudato manco stessi facendo trasloco all’ultimo piano tutto da solo.
La verità? La verità è che della risposta proprio non gli interessa, neppure se stessi per fargli la rivelazione del terzo segreto di Fatima.
Il suo è un puro esercizio di soddisfazione, autocompiacimento: sta imparando che la testa non serve solo a distanziare le orecchie, o a prudere sotto all’odioso cappellino di lana fatto ai ferri dalla nonna. No! Serve, e lo ha capito, a elaborare concetti, creare idee. Gli piace, si diverte, lo stimola, e la palestra che usa per l’allenamento è la domanda.
Se quando ti chiede «Perché la mela è rossa», tu rispondessi «per non essere blu», il pupo ribatterebbe con «e perché non è blu?».
A quel punto la veridicità della tua risposta perde di valore, a confronto dell’immensità del quesito che è stato in grado di formulare (nonché del livello di pazienza che sta per essere sforato, ma questa è un’altra storia).
Ha scoperto la mela, non asetticamente ricevuta perché “fa bene e una al giorno leva il medico di torno”, ma scoperta nel colore, nel sapore, che può anche non essergli gradito, e la domanda genera domanda: perché è rossa, perché non è blu, perché fa bene, perché allontana il dottore, perché è dolce, perché è succosa, perché me la dai anche se mi fa schifo.
Si aspetta una risposta? Sì, se l’aspetta, ma il sottile meccanismo del gioco prevede che la risposta sia il vederti affannare a cercare la risposta, che peraltro non gli interessa se non in quanto genererà altre domande.
«Perché la nonna è morta?»
«Perché era vecchia»
«E perché era vecchia?»
«... perché … perché ha spento tante candeline»
«E perché le ha spente? Non poteva lasciarle accese così non diventava vecchia?» «... hei ragazzino, le ha spente perché il tempo passa»
«E perché il tempo passa?» «… e che biiiiip ne so!»
«E perché che biiiiip ne sai?»
Ergo: non c’è fase della vita in cui saremo più intelligenti di questa, neppure se prendessimo il Nobel per l’astrofisica.
Poi il pupetto, in pieno delirio di perché, con tuo grande sollievo andrà a scuola.
Dalla scuola tu, genitore, ti aspetti le risposte, magari quelle che non sei stato in grado di fornire ma soprattutto quelle che dovrebbero spianargli la vita. Lui invece no. Lui si aspetta di poter martellare di domande, e se ciò non avviene, si annoia.
Una buona e sana scuola, che assolva al dovere formativo a cui è preposta e non sia solo fabbrica di nozioni, renderà prolifica questa sua attitudine a porre domande, e svilupperà la capacità di crearne sempre di nuove.
La sua crescita intellettuale prenderà misura proprio da questo: chiedere, domandare, all’infinito, esattamente come faceva da bambino, non fermarsi, non accontentarsi. Che valore ha una risposta se dietro non c’è la stimolante curiosità di una domanda?
Ora chiediti, già che siamo in vena di domande: chi è quel bambino?
Sei tu, siamo tutti noi.
Ti poni ancora domande o ti siedi sulle risposte, preconfezionate, liofilizzate, colorate e volutamente attraenti, in bella mostra sugli scaffali di quel virtuale supermercato che è la vita?
Tieni bene in mente una cosa: le domande non sono mai stupide, le risposte invece sì, possono esserlo.
Domandare è segno di libertà, accettare risposte a domande mai fatte, o non farsi la domanda è schiavitù! Dalle sole risposte nascono persino le dittature, che non ammettono domande.
La sudditanza psicologica nasce dall’accettazione asettica della risposta.
Il grigiore pervade l’assenza di domande.
Pensa: la Terra è sferica e ruota attorno al Sole. Questa è una risposta.
Se però qualcuno non si fosse posto la domanda, ancora oggi sarebbe piatta come un’immensa frittella e immobile, con buona pace dei novelli terrapiattisti, e le nostre vacanze esotiche non si spingerebbero oltre le Colonne d’Ercole.
Ma prima di colui che si dice aver mormorato un vigliacco “eppur si muove”, ci fu un uomo, mitologico ma non importa, che aprì le porte alle tre sorelle disobbedienti di cui parlavamo all’inizio: Odisseo, o Ulisse se vi pare, la creatura figlia dell’arte, il prototipo del pensiero filosofico, e il germe psicologico della curiosità, della domanda e dell’intelligenza. Colui che delle risposte senza domanda non sapeva cosa farsene, e che le Colonne d’Ercole le volle vedere di persona, trovandovi la morte e allo stesso la consacrazione all’eternità.
«Esiste il vento?»
«Credo di sì»
«E perché credi di sì, Federico?»
«Perché lo vedo»
«Ma il vento non si vede»
«No, e vero, però ne vedo gli effetti: foglie che si muovono, polvere che si solleva, nubi che transitano, cappelli che volano, occhi che bruciano se si riempiono di sabbia»
«E perché dici che è buono?»
«Perché, se lo becco per il verso giusto, se sono capace di cogliere in che direzione soffia, mi allevia il passo e addirittura mi sospinge, rendendomi anche capace di volare»
Buon vento … ma chiedetevi quale lato porgergli.
Federico Piccirilli
Psicologo, Psicoterapeuta
Terapie Brevi
Terapia a Seduta Singola
Ricevo a Monterotondo (RM), Fonte Nuova (RM) e Online