Nello scorso articolo ho fatto un’affermazione. La ricordate?
Non esistono parolacce ma solo parole.
Questo è sommamente vero; le parole sono un veicolo d’espressione, che non condividiamo con nessun altro animale, appositamente create attraverso il modulare di suoni e tese a esprimere concetti e oggetti.
Poi, filtrandole attraverso i contesti sociali, storici e educativi, le rivestiamo di sentimenti e intenzioni. Così nascono le parolacce.
Quella che dunque definiamo tale, la parolaccia, altro non è che un’intenzione, di offendere spesso, oppure semplicemente colpire.
Perché ribadisco questo?
Perché la spiegazione ben si adatta a introdurre il secondo dei due contendenti della sfida che abbiamo promosso in quell’articolo.
Namaste, con o senza accento sull’ultima, è espressione orientale che si pronuncia giungendo le mani all’altezza del petto e accennando un lieve inchino con il capo; il suo significato è appunto “m’inchino a te”.
Parola elegante, carica di fascino e un pizzico di esotico mistero; la filosofia dentro una sola parola.
Che cosa ha dunque a che vedere con le parolacce?
Beh, per capirlo dobbiamo cominciare col dire che racchiude una bipolarità.
Da un lato Namaste configura un atto di ringraziamento, di pace interiore e materiale, di perfetto equilibrio con i fattori contingenti che ci circondano.
Dall’altra però nasconde un lato decisamente stuzzicante: Namaste, usato a coronamento di un dissidio o di una situazione critica, assume infatti volentieri il ruolo del vaffanculo; un vaffanculo ripulito e rifinito di fino, insomma una specie di vaffanculo in abito da sera.
Se di quest’ultimo usiamo poi la forma sincopata, quella che prevede la forma verbale (va) sottintesa, troviamo pure una certa assonanza, un’armonia di ritmi e quantità sillabiche:
- fan-cu-lo
- na-ma-ste
la senti la musica? Potrebbe quasi essere il ritornello di una canzone o la cadenza di una poesia.
L’effetto è più o meno il medesimo: in chi ne fa uso entrambi producono una sorta di catarsi, di senso di leggerezza, liberazione, talvolta anche un orgasmo; per chi li riceve l’effetto è più o meno quello di una mazzata che toglie fiato e argomenti per controbattere.
Namas (= inchinarsi) te (= Pari pari al nostro ‘te’). Arriva dall’India, dalla pratica Yoga, da una spiritualità che ha origini molto antiche e, per noi occidentali, cariche di fascino e mistero. Il gesto che lo accompagna è un Mudra.
Ora ti starai chiedendo: “e che è sto mudra?”
Il mudra è un “sigillo”; questo il significato letterale. In pratica consiste in determinate posizioni del corpo o degli arti che, seguendo i principi dello yoga, porterebbero benefici al corpo e alla mente proprio perché tesi a creare armonia fra queste due parti di noi.
Quello che accompagna Namaste si chiama Anjali mudra, e attraverso quell’unire le mani all’altezza del cuore (gesto e posizione peraltro anche per la nostra cultura altamente simbolici, legati alla preghiera, all’amore) configura una serie di “scambio di divini convenevoli” che, non essendo esperto in materia, copio ‘paro paro’ da un sito dedicato:
- Il dio che è in me saluta e incontra il dio che è in te;
- Lo spirito che è in me riconosce lo spirito che è in te;
- L’umiltà che è in me saluta l’umiltà che è in te;
- La luce che è in me saluta la luce che è in te;
- Unisco il mio corpo e la mente, concentrandomi sul mio potenziale divino, e mi inchino allo stesso potenziale divino che è in te;
- La scintilla divina che è in me saluta la scintilla divina che è in te;
- Il divino in me onora il divino che è in te.
Insomma, un vaffanculo con l’aureola!
Sinceramente sento di dovermi scusare con i cultori di questa splendida arte del vivere che apprezzo enormemente; intenzionalmente, e quasi per gioco, ne ho voluto stravolgere non il significato ma piuttosto l’ambito di utilizzo:
“Namaste. Sinceramente e dal profondo del cuore, namaste”
Il fatto è che, malgrado sia di mente assai aperta e sostenitore del benessere interiore, non solo per professione ma anche come stile di vita personale, quando sbatto il famoso mignolino contro la gamba del tavolo prima del caffè, divento di botto tradizionalista, e fra un Vaffanculo e un Namaste ritengo non ci sia proprio storia!
Per concludere: nella nostra giornata viviamo tanti momenti, alcuni degni del più profondo e sentito Namaste, alcuni dove il Vaffa ci casca proprio a fagiolo. È questione di equilibri, che nascono anche dalla spontaneità delle reazioni; prima regola dunque per il tuo benessere è quindi l’equilibrio, che, al di là di tutti i Vaffa e i Namaste, la psicoterapia può aiutarti a ritrovare.
Prima di chiudere voglio svelarvi una curiosità “erudita”.
Cappella Sistina, chi non la conosce? Siamo nel 1500 e l’affresco è stato commissionato a Michelangelo da papa Giulio II, che al grande artista stava proprio sui cosiddetti. Chissà quanti vaffanculo avrà ingoiati e mai digeriti mentre spennellava spaccandosi il collo! Il modo per mandarcelo comunque lo trovò, e ancora è lì, intatto da più di cinquecento anni e per altrettanti lo resterà.
Fra le figure bibliche dipinte c’è anche il profeta Zaccaria, intento a scartabellare un librone; dietro di lui due paffuti angioletti con l’aria tutt’altro che da angioletti; quello fra i due più biondo e riccioluto ha il braccio grassoccio appoggiato sulla spalla dell’altro e con la manina innocente, in primo piano, compie un gesto che poco ha a che vedere con la sua natura pura e divina, e che neppure ci azzecca con i “mudra” di cui prima abbiamo parlato: tiene il pollice tra l’indice e il medio. Ebbene, a quei tempi il significato era esattamente quello dell’odierno dito medio!
Bene, ora credo che abbiamo abbastanza elementi per scegliere il vincitore della sfida; votate (anche se credo di conoscere già il verdetto!)
Buon vento!
Federico Piccirilli
Psicologo, Psicoterapeuta
Terapie Brevi
Terapia a Seduta Singola
Ricevo a Monterotondo (Rm), Fonte Nuova (Rm) e Online (RM)