RICOMINCIAAAAAAMO … cantava Pappalardo nel lontano 1979 e malgrado sia passato molto tempo ancora i ragazzi intonano il ritornello, in coro.
Ormai tutti abbiamo ricominciato. Alcuni non hanno neppure mai smesso ma pure per loro il clima estivo ha generato una sorta di “sospensione” dalla consuetudine, da quello che definiamo il “tran tran” quotidiano.
Abbiamo ricominciato il lavoro, le faccende di casa, gli impegni istituzionali, sociali e familiari, ricomincia pure la scuola; non si trova più posteggio, le vetrine dei negozi espongono le collezioni invernali malgrado tutti stiamo ancora sudando; abbiamo svuotato le valigie, riposto i costumi, i teli mare, le lavatrici per giorni hanno lavorato a pieno ritmo.
La pelle comincia a squamarsi e riacquistare quel colorito opaco e grigiastro, i colori degli abiti tornano a essere anonimi, sobri, le collanine colorate e di sapore tribale spariscono nel cassetto; si acquistano quaderni, penne, zaini nuovi.
Si scorrono le email per scovarne qualcuna importante, sfuggita fra le centinaia inutili da cestinare.
Qualcosa è cambiato?
No! Anzi, sì, però non lo cogliamo.
Hai cambiato il luogo, per un breve tempo ma l’hai cambiato. Hai cambiato le abitudini quotidiane; hai cambiato gli abiti, il modo di alimentarti; sicuramente hai cambiato pure i pensieri. Poi hai nuovamente cambiato tornando a quella che individui come consuetudine. Due cambiamenti, nell’arco di un breve spazio di tempo.
Perché dunque non ne senti gli effetti?
La colpa è della capacità di adattamento. Sì, l’uomo, analogamente a tutte le specie viventi, ne ha un notevole bagaglio, indispensabile per la sopravvivenza ma anche con alcuni effetti collaterali.
Quante volte hai fatto questa considerazione: “Pazzesco! Sono via da solo un giorno ma mi sembra di essere partito da un anno” oppure “Sono tornato solo ieri eppure è come se neppure me ne fossi mai andato!”
Questa particolare disposizione dell’animo ad adattarsi senza lasciare traccia, palpabile quando si tratta di eventi leggeri e piacevoli quali un semplice periodo di vacanza, si scontra invece con il timore che deriva dall’idea stessa del cambiamento applicata a quegli aspetti della vita che sono essenziali e inevitabili.
Cambiare casa, cambiare scuola, cambiare lavoro. Quel tipo di cambiamento spaventa; si tratta di lasciare la consuetudine di un nido sicuro, per quanto magari logoro, per l’incognita. Eppure il meccanismo sarà il medesimo delle vacanze: senza neppure accorgerci ci saremo adattati, letteralmente plasmati sulla nuova dimensione, proprio come se fosse stato sempre così, come se sempre avessimo calpestato quei pavimenti, sempre ci fossimo seduti su quei banchi, sempre avessimo avuto quei colleghi.
È l’attimo di transizione a essere critico. Quindi dobbiamo concentrarci a lavorare su quell’attimo, che solo da noi dipende, e non sul cambiamento vero e proprio.
Con l’arrivo di settembre, di cui ormai stiamo dribblando la metà, molti cambiamenti avvengono. In ambito scolastico i maggiori: chi ha figli si accinge ad accompagnarli a scuola per la prima volta, o a comprare lo zaino per le medie, a lasciarli andare da soli al liceo oppure a condividere i primi patemi per l’esame universitario. Alcuni aiutano a chiudere le valigie di quei figli, cacciandovi a forza la onnipresente “maglia”.
… sto divagando, ma c’è un perché!
L’intento dell’articolo era “Come affrontare il cambiamento del lavoro”. Me la sto prendendo comoda perché la cosa mi crea un po’ d’imbarazzo (sì, pure gli psicologi ne vanno soggetti!), non per il termine “cambiamento” ma per “lavoro”. Parlare oggi dell’arte di cambiare lavoro quando il lavoro non c’è equivale a tessere la trama di una favola fantascientifica.
Il lavoro oggi è quella cosa che se ce l’hai preghi di mantenerlo, altro che cambiarlo!
Tuttavia non sono un sociologo e non intendo occuparmi di una materia tanto delicata, complessa e critica.
Facciamo allora in modo che il cambiamento sia non un’eventualità, che appunto non si presenterà, ma un’arte.
Viviamo l’epoca in cui il lavoro deve essere creato, spesso dal nulla. Potremmo addirittura appellarci all’antica “arte di arrangiarci” dei tempi passati, tornata prepotentemente in auge.
Se le ditte non assumono, la concorrenza è spietata in termini di età e competenze, lo sfruttamento è uno spettro che aleggia su molti impieghi temporanei, le specializzazioni raggiunte con sacrificio hanno valore pari a zero, che fare?
Sedersi e attendere che la situazione cambi? No, per più di una ragione:
- Diventerai vecchio nel frattempo, se già non lo sei;
- Ti deprimerai
Cambiare oggi significa essere in grado di crearsi non dico il futuro ma almeno il domani. Cambiare significa sapersi adattare, nell’attesa o per sempre. Cambiare significa mettere a fatica una gamba davanti all’altra e puntare dritto verso un punto.
Cambiare significa mutare il modo di pensare.
Lo so, è difficile pensare alla positività del cambiamento quando hai il terrore della sveglia non perché devi alzarti e uscire ma perché segna l’inizio di una giornata in cui non sai che diamine fare! È difficile uscire per strada, schivare quelli affannati con la valigetta professionale e il telefono rovente all’orecchio, domandarsi che cosa penseranno i vicini che ti vedono ogni giorno, il pizzicagnolo sotto casa che accompagna il saluto con una smorfietta di domanda, osservare l’orologio che scandisce, lentissimo, le ore e temere il domani ancor più dell’oggi.
Allora cambia, dammi retta!
Sai suonare? Suona, registra un video e postalo su youtube.
Sai dipingere? Dipingi, esponi per strada, nei negozi, al bar, dal pizzicagnolo impiccione sotto casa.
Sai fotografare? Esci, fotografa, anche magari il pizzicagnolo con la smorfietta sarcastica, oppure un bel tramonto, e riempi il mondo delle tue immagini rubate.
Ti piace scrivere? Scrivi, magari la tua vita, i tuoi pensieri, i tormenti, le attese. Fanne un romanzo da pubblicare magari in rete.
Non hai vene artistiche? Non importa. Saprai aggiustare elettrodomestici, sistemare computer impallati, magari vai d’accordo con gli animali, con i bambini, gli anziani … insomma, là fuori c’è un mondo che ha bisogno anche di te, in qualche modo, magari per piccole ma preziose cose.
E se poi ti viene voglia di correre, fai come Forrest Gump: corri! Corri fino a farti crescere la barba alle ginocchia ma corri fino a che potrai dire basta.
Mi rendo conto che queste non sono soluzioni, o per lo meno non definitive e soprattutto non quelle che cercavi. Se ne avessi la possibilità ti offrirei un lavoro, serio e dignitoso; però io sono uno psicologo e dove posso agire è solo sulla tua mente, e quella mi sta a cuore.
Di una cosa devi essere certo: deprimerti e logorarti in un’attesa sfiancante non ti servirà ad altro che a sfiancarti di più.
Il cambiamento inizia da dentro e una volta iniziato, credimi, scopre tante opportunità nascoste, invisibili nel buio della tristezza. La psicoterapia può rappresentare la vera ancora di salvezza anche quando il problema è la mancanza di lavoro, e io sono qui, pronto a lasciarti parlare e a tenderti la mano.
Non rimandare a domani, cambia oggi!
Buon vento, che spazzi via il buio e rischiari la via.
Federico Piccirilli
Psicologo, Psicoterapeuta
Terapie Brevi
Terapia a Seduta Singola