“Devo sempre assicurarmi che tutto vada bene”, “Non mi fido di come fanno le cose gli altri”, “Devo controllare più volte di aver fatto bene una certa cosa”, “Mi sento ansioso, stressato e turbato quando le cose non vanno come vorrei o come mi aspetto”.
E’ così difficile cercare di far andare bene le cose… forse impossibile. Si vorrebbe sempre fare la cosa giusta, soprattutto quando ci relazioniamo con gli altri.
Si vorrebbe sempre che il nostro contributo soddisfi gli altri ed è per questo che a volte cerchiamo di entrare nella loro mente fino a “credere” di sapere di cosa hanno bisogno gli altri per stare bene. Ma è davvero possibile sapere di cosa gli altri hanno bisogno per stare bene?
Le persone che si rivolgono a me, nel mio studio di Monterotondo oppure online, mi dicono spesso: “Come faccio sbaglio, non sento mai di fare la cosa giusta”.
Ma l’altro chi?
Parliamo sempre degli altri. Ma chi sono gli altri? L’altro, in realtà non è un singolo individuo, ma racchiude spesso l’aspettativa sull’opinione di più persone, è quasi sempre visto come perfetto, migliore, giusto: in pratica viene percepito come l’antitesi di sé stessi.
L’altro è il super eroe che non sbaglia mai e se lo fa è giustificato. L’altro è il mezzo di confronto col quale giudichiamo noi stessi. L’altro e gli altri sono la stessa cosa: un unico individuo con un unico pensiero, che è giusto, e con un unico giudizio verso di noi che è negativo.
Per questo ci sentiamo in dovere di soddisfare gli altri, per questo sentiamo che, come se fossero dei clienti, “gli altri hanno sempre ragione…”.
Ma abbiamo davvero il superpotere di sapere cosa pensano gli altri? No. I pensieri che pensiamo che gli altri pensino sono solo frutto delle nostre deduzioni, che si basano sulle nostre convinzioni.
Accontentare = accontentarsi
A volte pensiamo: “Cosa penseranno gli altri di me?”. Questo dubbio contiene un postulato erroneo: è impossibile che gli altri a cui fai riferimento la pensino tutti allo stesso modo. Quindi per quanto uno stimolo possa suscitare reazioni “unanimi”, difficilmente tutti penseranno la stessa cosa di te.
In realtà noi stiamo temendo solo il nostro “giudice interiore” severissimo.
Molte persone vivono in uno stato di ansia costante, che riescono a “mitigare” (per un tempo limitato) solo attraverso una rigida sorveglianza sui loro comportamenti e, talvolta, su quelli degli altri. Una gabbia che genera sollievo momentaneo ma che crea una enorme sofferenza.
Darsi la possibilità di sbagliare, senza venir condannati da quel giudice, è il primo passo per collegarci davvero agli altri e capire meglio chi siamo. Ma come si fa?
In realtà tu non “devi” dire niente. Ma devi solo cominciare a osservare gli altri. Sfrutta il silenzio per spostare la tua attenzione da te stesso agli altri, per osservarli meglio, per farti un’idea più precisa di quello che stanno dicendo e, di conseguenza, per produrre riflessioni di cui, volendo, potresti parlare.
Questo funziona meglio, perché quando proviamo disagio o difficoltà a relazionarci con una o più persone attuiamo spontaneamente comportamenti di reazione. I comportamenti di reazione sono azioni o parole che produciamo per difenderci da quella specifica situazione nel modo che pensiamo sia più opportuno per noi o che rappresenta la nostra risposta comportamentale in determinate circostanze. Quando non ci si piace o non ci si sente di poter essere se stessi, può succedere che si cerchi di mostrarsi nel modo che pensiamo venga maggiormente accettato.
Per gestire e superare la difficoltà a relazionarti con gli altri è importante rompere l’automatismo dei comportamenti di reazione producendo, invece, in modo consapevole determinati atteggiamenti.
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Federico Piccirilli
Psicologo, Psicoterapeuta
Terapie Brevi
Terapia a Seduta Singola
Ricevo a Monterotondo (RM) e ONLINE