Ti arriva un messaggio WhatsApp, cosa fai? Sei capace di aspettare di essere di nuovo a casa per rispondergli o ti metti a digitare la risposta mentre cammini o peggio mentre stai guidando o pedalando? 

Hai la pazienza di aspettare?

“La pazienza è la virtù dei forti” mi diceva spesso mia nonna e devo ammettere che da piccolo non riuscivo a comprendere come il non-fare potesse essere l’espressione della forza, del potere di una persona, quando la società ci mostrava ogni giorno che le persone potenti erano quelle che si piegavano ad un ritmo di vita frenetico, indaffarato, come gli uomini d’affari delle serie americane che si vedevano in televisione.

E ancora oggi molte persone, che seguo nel mio studio di Monterotondo oppure online, mi parlano di pazienza. E non è un simpatico gioco di parole parlare di pazienti “pazienti”, dato che il termine pazienza deriva dal latino patientia, che significa sopportare, soffrire, tollerare e dal greco pathein e pathos, che equivalgono al provare dolore fisico e spirituale. 

È una disposizione d’animo ad accettare e sopportare con tranquillità, moderazione, rassegnazione, senza reagire violentemente, il dolore, il male, i disagi, le molestie altrui, le contrarietà della vita in genere.

Come si diventa pazienti?

Il paziente è colui che sopporta una situazione sfavorevole, un’avversità, una malattia, rimandando la reazione immediata, attendendo con perseveranza e fiducia che la situazione diventi più chiara e possa essere trovata una soluzione. Non è rassegnazione, non è una sopportazione silenziosa o passività, ma è una modalità attraverso la quale poter accendere una luce su una determinata situazione e “vederci chiaro.

Essere paziente significa osservare, ascoltare, analizzare i movimenti del tempo e degli eventi aspettando che il momento giusto arrivi per poter muovere il passo decisivo al cambiamento, per portare a compimento l’obiettivo.

La pazienza si sviluppa nel processo di comprensione, di ascolto, di un’azione passiva solo esteriormente ed attiva dentro di noi. Essa ci permette di valutare i pro e i contro senza intervenire, di capire quando i tempi sono maturi e quanto un’azione affrettata potrebbe causarci un danno, perché c’è un tempo per tutto. Ciò che la pazienza ci svela è che se non possiamo controllare il tempo, ma possiamo sfruttare il suo potere a nostro vantaggio e indirizzare il suo flusso. Solo così smettiamo di essere schiavi del tempo e ce lo facciamo alleato.

Quando la pazienza ha un limite?

La pazienza però ha anche un limite, perché essere pazienti non significa sopportare tutto, essere passivi, rassegnati. È la capacità di prendere decisioni con lucidità, di capire fino a quando possiamo affrontare una determinata situazione senza cadere nella trappola del tollerare ogni cosa perché siamo o dobbiamo essere pazienti. Accettare i nostri limiti, prendere atto dei nostri confini, definire cosa va bene per noi e cosa no, è fondamentale per scegliere cosa non sopportare o cosa tollerare e, quindi, fare scelte consapevoli. Essere pazienti non significa incassare tutti i colpi, ma riuscire con lucidità a tenere in mente i propri obiettivi, i propri diritti, la propria persona.

“Pazienza è una strana parola. Puoi dirla quando aspetti e quando scegli di non aspettare più” dice Massimo Bisotti.

Stare fermi per un po’ senza sentire la necessità di agire per forza, non agire e nello stesso tempo rimanere vigile e ricettivo a ciò che ci circonda, accumulare la conoscenza e distillarla lentamente con sapienza dentro di sé sono tutte manifestazioni della pazienza. Ogni goccia di presente, ogni attimo è importante ed è parte del processo di maturazione di ogni creazione che vuole concretizzarsi. Anche Honoré de Balzac diceva: “La pazienza è ciò che nell’uomo più somiglia al procedimento che la natura usa nelle sue creazioni”.

L’osservazione non-giudicante e l’ascolto attivo sono fondamentali per esercitare la pazienza, in quanto ci aiutano ad avere uno sguardo più ampio sulla situazione e a prendere in considerazione degli aspetti che uno studio frettoloso non avrebbe permesso di trattare. 

Mi ricordo la storia di una maestra, che alle elementari aveva una sedia speciale in legno, semplice ma preziosa, antica e regale, era la poltrona della pazienza sulla quale si sedeva ogni volta che doveva riportare il silenzio in classe, quando la situazione diventava troppo caotica e rumorosa, si sedeva ed aspettava in silenzio. Oltre a lei anche agli alunni, quando troppo irrequieti, agitati, addolorati, veniva concesso, o richiesto di sedersi su quella poltrona per calmarsi e ritrovare un equilibrio. Era uno trono antico, una seduta speciale, quasi un po’ magica, che racchiudeva molteplici significati e aspettative, dove la maestra ritrovava la pazienza ed anche i bambini…

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Buon vento 😉

Federico Piccirilli

Psicologo, Psicoterapeuta

Terapie Brevi

Terapia a Seduta Singola

Ricevo a Monterotondo (RM) e ONLINE