“Lasciare andare” non è una lezione che ci hanno insegnato da bambini. Siamo capaci di resistere, di controllare, di programmare, ma facciamo una gran fatica a lasciar scorrere le cose senza intervenire. Siamo convinti che non fare nulla sia una forma di debolezza. Eppure sono tanti le persone che si rivolgono a me, nel mio studio di Monterotondo oppure online, per imparare a lasciare andare…
In natura sembra tutto così facile e spontaneo, l’atto del lasciare andare appare, almeno in quel contesto, come un atto totalmente naturale. La natura stessa si abbandona con fiducia agli accadimenti che le vengono incontro senza lamenti, senza volerli diversi, senza intromettersi. Sa quando può e deve agire e quando invece è il momento di arrendersi alle stagioni, al clima, al susseguirsi delle manifestazioni della vita. Noi invece abbiamo dimenticato l’immenso potere della resa e lo consideriamo un fallimento.
Spesso non si “cede” perché si teme che voltando pagine troveremo una pagina bianca, il giudizio dei nostri cari, la sofferenza del momento di passaggio, si teme di non avere alternative all’abitudine. Ci sentiamo persi all’idea di smettere d’insistere su qualcosa che non può cambiare…
Il dolore di quando si lascia andare…
Quando si parla di fare spazio a qualcosa di nuovo, ci sono generalmente due tipi di reazioni: la prima, pessimista, dà una sensazione di mancanza, di abbandono di qualcosa che si conosce e dalla quale si fatica a distaccarsi, la seconda invece è più euforica e rispecchia una liberazione da tutto ciò che occupava inutilmente uno spazio prezioso. Quest’ultima risulta, per la maggior parte delle persone, più difficile da esperire.
Il coraggio, nessuno ce lo può insegnare e non si sviluppa quando tutto va alla grande: il coraggio ce l’abbiamo dentro al cuore. Ha solo bisogno di qualcosa che ci faccia breccia per venire alla luce. Lasciare andare non significa sempre perdere, nell’accezione più cruda del termine. Lasciare andare significa permettere alla mutevole essenza di cui siamo composti e dalla quale siamo generati, di portarci esattamente laddove siamo destinati ad arrivare. Le scelte, alimentate dal coraggio, determinano di volta in volta la costruzione di un ponte per arrivare alla nostra destinazione, che è sempre, meravigliosamente, nonostante tutto il dolore, evoluzione.
Tentare fino allo sfinimento di ricucire qualcosa che ormai è morto da tempo non è sano, ci distrae dai nostri obiettivi reali, prosciuga preziose energie vitali. Mollare la presa non significa rinunciare, ma rivalutare le proprie priorità avendo cura di se stessi, di proteggere una vita che non può, non deve e non vuole diventare salvezza per l’altro, se implica negazione di se stessi. Perché come ci ricorda una frase del fil Fight Club: “Le cose che possiedi finiscono per possedere te stesso. È solo dopo aver perso tutto quello che hai che sei libero di fare qualsiasi cosa”.
Una storia per lasciarti andare…
Anche tu stai per arrivare alla fine di questo articolo, ma ogni volta che si lascia qualcosa non si esce mai a mani vuote, per questo voglio raccontarti una storia, che ho trovato sul web e che credo sia molto pertinente alla tematica di questo articolo: “Si avvicinava l’inverno e faceva molto freddo, un uccellino, che aveva un’ala spezzata, non sapeva dove trovare rifugio. — Forse gli alberi di quella foresta mi ripareranno durante l’inverno con le loro foglie?— pensò il poverino. A piccoli salti e brevi voli si portò faticosamente fino all’inizio del bosco. Il primo albero che incontrò fu una betulla dal manto d’argento.
— Graziosa betulla,— implorò l’uccellino — vuoi lasciarmi vivere tra le tue fronde fino alla buona stagione?
— Ne ho già abbastanza con il custodire le mie foglie. Vattene da un’altra parte!— rispose la betulla.
L’uccellino saltò fino a un maestoso castagno. — Grande castagno— invocò il piccolino — mi permetti di restare al riparo del tuo fogliame finché il tempo è cattivo?
— Se ti lasciassi tra le mie fronde, tu beccheresti tutte le mie castagne. Vattene via di qua!— esclamò il castagno.
L’uccellino volò come meglio poté con la sua ala ferita, finché arrivò presso un bianco salice. — Bel salice, mi riceveresti tra i tuoi rami durante la cattiva stagione?— chiese di nuovo l’uccellino. — Assolutamente no! Io non alloggio mai degli sconosciuti!— rispose il salice. Il povero piccolo non sapeva più ormai a chi rivolgersi. Lo vide allora un abete e gli chiese: — Dove vai, uccellino?
—Non lo so,— rispose.— gli alberi non vogliono darmi rifugio e io non posso volare lontano con quest’ala spezzata.
—Vieni qui da me, poverino!— lo invitò il grande abete. L’uccellino allora si strinse forte al tronco dell’abete, tra i suoi rami fitti per proteggersi dal freddo.
— Anch’io ti vorrei aiutare, — disse timidamente una piccola voce lì vicino.— Posso darti da mangiare, sui miei rami troverai molte bacche buone.— Era un piccolo ginepro che parlava.
— Anch’io ti aiuterò! — esclamò una forte voce. — Proteggerò il ginepro e l’abete dai forti venti e dal gelo. Non sei da solo, uccellino. Noi avremo cura di te!— aggiunse il grande pino che aveva sentito tutto.
L’uccellino era commosso e ringraziò con tutto il cuore i tre alberi per il loro buon cuore, e prima di addormentarsi, chiese al cielo di proteggere i suoi amici che si erano dimostrati con lui così tanto generosi e la sua preghiera volò graziosamente tra le nuvole come un fiocco di neve. Durante la notte più lunga dell’anno, mentre l’uccellino, l’abete, il ginepro e il pino dormivano profondamente, il Vento del Nord venne a giocare nella foresta. Sferzò le foglie degli alberi col suo gelido soffio e ogni foglia toccata cadde a terra mulinando.
— Posso divertirmi con tutti gli alberi?— domandò il Vento del Nord a suo padre, il re dei Venti.
— No— rispose il re — quelli che sono stati buoni con il piccolo uccellino possono conservare le loro foglie.
Così il Vento del Nord dovette lasciare tranquillo il grande abete, il pino e il ginepro che conservarono le loro foglie tutto l’inverno.
Ma perché questa storia? Perché, come hai letto, la betulla voleva tenere le sue foglie, il castagno i suoi frutti, il salice invece teneva forse troppo alla sua routine, ma a voler trattenere quello che bisogna lasciare andare, si rischia di perdere tutto. In realtà, è la lezione che l’Inverno prova a insegnarci: bisogna lasciar andare quello che non serve più. Solo così potrà tornare la Primavera…
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Buon vento 😉
Federico Piccirilli
Psicologo, Psicoterapeuta
Terapie Brevi
Terapia a Seduta Singola
Ricevo a Monterotondo (RM) e ONLINE