L’8 Marzo deve essere una ragione in più per ricordare alle donne, che devono essere fedeli a loro stesse, che niente e nessuno può impedire loro di essere libere nel pensiero e nelle azioni. Perché le donne a volte hanno tanta consapevolezza del loro valore, ma, spesso, come un sottofondo fastidioso, come una spina che le lacera, come uno spillo che entra nelle loro carni, sorge un dubbio ancestrale: “Ma io me lo merito?”.
Non è qualcosa di consapevole, ma è quello che emerge, troppo frequentemente, nei discorsi delle donne, che si recano da me, nel mio studio di Monterotondo oppure online. Questo dubbio è alimentato da quello che la società ha insegnato e comunicato alle donne nel passato e quello che sta provando ad insegnare e a comunicare oggi.
Sicuramente soffia un vento di cambiamento, se ne parla di più, si sposta maggiormente l’attenzione su alcune tematiche, ma è sempre una comunicazione coerente? Forse non sempre. Soprattutto quado la società chiede alle donne di essere uguali agli uomini per essere rispettate.
A cosa (non) devo rinunciare oggi?
Casa o lavoro? Carriera o famiglia? Lavoro a maglia o dibattiti politici?… Sembra che oggi la donna sia costretta a scegliere, ad escludere, a rinunciare all’uno o all’altro senza che le sia proposta un’alternativa, oscillando così tra due posizioni che non le permettono di realizzarsi pienamente.
E nel caso provasse a non rinunciare ad entrambe? In questo caso una donna dovrebbe rimboccarsi le maniche e fare dei veri tour de force, perché, aleggia ancora quella credenza che la famiglia, a quanto pare, sembra essere un ambito prettamente femminile e quindi di responsabilità esclusiva della donna. E pertanto la donna non può mai “trascurarla”.
Sembra sempre che la donna debba occuparsi da sola di ciò che si costruisce in due. Deve sempre oscillare tra due posizioni. In questi casi il multitasking delle donne, così tanto osannato di questi tempi, è una necessità e non un talento innato al sesso femminile. E se in un primo tempo si riescono a giostrare i diversi impegni, dopo un certo tempo, il carico mentale diventa tale da obbligarsi a rallentare e a dover fare scelte a volte dolorose, ovvero a rinunciare ad una delle due posizioni.
Tuttavia, paradossalmente, anche quando afferra qualcosa continua a chiedersi: “Ma me lo merito?”. Una domanda quasi spontanea in questa società, che sembra quindi contemplare due stereotipi femminili: la donna combattiva e carrierista da una parte e dall’altra la donna di casa dipendente dall’uomo, dimenticando che tra questi due estremi c’è la vera essenza delle donne, ovvero le donne che cercano di affermare loro stesse nel mondo senza rinunciare alla propria metà del cielo. Perché è questo che le donne meritano. Non essere costrette a fare rinunce e nonostante questo sentirsi bene.
Un passo verso la libertà
Non solo le rinunce di vita mettono in discussione il concetto di merito per le donne. Infatti, se si parla della prigione della bellezza, si toccano punti sensibili, spesso dolenti, connessi ad un vissuto intimo costellato di senso di inadeguatezza, fragilità, senso di colpa e a volte di vergogna. Non sentirsi abbastanza bella può essere vissuto come un peso, a volte come una condanna che porta ad una corsa contro il tempo, contro la bilancia, contro una società che vorrebbe le donne diverse da come sono realmente: più alte, più magre, più toniche, più lisce, più giovani. E anche se lo fossero, riecheggerebbe comunque in sottofondo una voce malefica che sussurrerebbe: “Non sei abbastanza”.
La società scrive sul corpo delle donne false narrazioni,la donna viene giudicata in base alla sua apparenza, e non al suo modo di agire nella società. E così una donna con la minigonna sembra che “stia dando il consenso” per subire molestie, una donna magra viene associata ad una persona costante e determinata nel prendersi cura di sé, senza considerare se ha fatto davvero sforzi effettivi o se la genetica di partenza l’ha agevolata, mentre, invece, una persona sovrappeso verrà giudicata come poco energica e volenterosa, a prescindere dei suoi reali sforzi, dei sacrifici fatti per raggiungere una forma forse innaturale per la sua costituzione e genetica.
False narrazioni che negano la propria bellezza individuale, impedendo di sentirsi bene nel proprio corpo, apprezzandolo, rispettandolo e amandolo. Perché questi dovrebbero essere i diritti. Questo dovrebbe essere ciò che una donna merita.
Ma allora come deve rispondere una donna a quella fastidiosa domanda, che la insegue da secoli? “Se lo merita?”. Forse una risposta la troverà quando riuscirà a riappropriarsi della propria idea di bellezza e a riempire il significato della sua vita coi propri significati. Troverà una risposta quando le sue scelte saranno in armonia con le proprie esperienze, che la fanno sentire bene, che la fanno sentire valorizzata, che la aiutano ad avere un’esperienza positiva della sua vita. Allora non servirà più chiedersi se “se lo merita”.
Come ci ricorda Michela Marzano: “Essere dalla parte delle donne non significa sognare un mondo in cui i rapporti di dominio possano finalmente capovolgersi, per far subire all’uomo ciò che la donna ha subito per secoli. Essere dalla parte delle donne vuol dire lottare per costruire una società egualitaria, in cui essere uomo o donna sia ‘indifferente’, non abbia alcuna rilevanza. Non perché essere uomo o donna sia la stessa cosa, ma perché sia gli uomini sia le donne sono esseri umani che condividono il meglio e il peggio della condizione umana”.
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Buon vento 😉
Federico Piccirilli
Psicologo, Psicoterapeuta
Terapie Brevi
Terapia a Seduta Singola
Ricevo a Monterotondo (RM)