Chi ha paura della felicità? Apparentemente nessuno, anzi tutti la ricercano e la vogliono “a tutti i costi”. Tuttavia, quando la felicità diventa un “dovere”, può fare un po’ paura.
Un vecchissimo, quanto suggestivo, articolo pubblicato nel lontano 1967 su Psychological Bulletin titolava: “Correlates of Avowed Happines” proponendo una sorta di “to di list” delle caratteristiche di una persona felice.
Secondo l’articolo una persona felice dovrebbe essere: giovane, sana, ben educata, ben pagata, estroversa, ottimista, senza preoccupazioni (ci mancherebbe…!), religiosa, sposata, con un buon lavoro, una buona autostima, senso morale, ambizioni modeste…
Questa descrizione di felicità riecheggia spesso nel mio studio di Monterotondo o durante le sedute online. Definizioni conformiste, che sembrano intendere la felicità come una sorta di “dovere”, che possa essere ordinato e prescritto. Come un prodotto che possa essere facilmente acquistato e consumato… È il falso riduttivo mito della felicità come monolitica, sempre uguale a sé stessa (quel famigerato “e vissero tutti felici e contenti”, quella “vita alla Mulino Bianco”). Una felicità che, per esistere, deve essere, necessariamente, esente da “infelicità”, preoccupazioni o problematiche di sorta…
Salute, ricchezza, status sociale sono fra i fattori “oggettivi” più stereotipati ed ascritti alla felicità. Va da sé – secondo una logica sillogistica e lineare – che chi ha la fortuna di averli “deve” essere felice…
“Ma di cosa ti lamenti? Non ti manca niente!”
Molte donne, che hanno attraversato una depressione post partum, ad esempio, si sono sentite ripetere frasi di questo tipo. In fondo il loro bambino era nato sano e forte, quindi perché non erano scontatamente felici, come ci si aspetterebbe da una “brava” madre? Oppure come si può pensare che una persona benestante possa avere problemi psicologici o fisici? Anche se ce li avesse i soldi possono ammortizzare tutto. No? Frasi stereotipate che tutti abbiamo pronunciato o sentito pronunciare.
Però, al di là di chi “dovrebbe essere felice”, ci sono anche quelle persone che, pur non avendo i “requisiti” oggettivi per essere definite felici, riescono a sentirsi tali?
Ecco cosa scriveva dal carcere Rosa Luxemburg: “E’ il mio terzo Natale in gattabuia, ma non fatene una tragedia. Sono calma e serena come sempre. Ieri sono rimasta a lungo sveglia…così al buio, i miei pensieri vagano come in sogno… Me ne sto qui distesa, sola, in silenzio, avvolta in queste molteplici e nere lenzuola dell’oscurità, della noia, della prigionia invernale e intanto il mio cuore pulsa di una gioia interiore incomprensibile e sconosciuta, come se andassi camminando nel sole radioso su un prato fiorito. E nel buio sorrido alla vita… In quei momenti penso a voi, a quanto mi piacerebbe potervi dare la chiave di questo incanto, perché vediate sempre e in ogni situazione quel che nella vita è bello e gioioso, perché anche voi possiate sentire questa ebbrezza e camminare su un prato dai mille colori”.
Dimentichiamo troppo spesso che le percezioni, oltre ad essere soggettive, sono tutte equivalentemente valide. Tutte le persone hanno quasi sempre dei buoni motivi per sentire quello che sentono. Per questo la felicità è soggettiva.
Qual è il parametro per considerarsi felici?
Lo spettro degli intenti, che influenzano le nostre azioni, può essere ricco di sfumature. Dietro a tutto ciò c’è una decisione fondamentale tra da due sentimenti contrastanti, che possiamo provare nei confronti della vita, ed è la scelta del sentimento predominante che condizionerà il nostro modo di approcciarci alle persone che conosceremo, alle esperienze che faremo, alle opportunità che si apriranno sul nostro cammino. Questi due sentimenti sono fiducia e paura.
Quando in noi predomina la fiducia, in primo luogo fiducia in noi e nelle nostre capacità prima che negli altri, ci diamo l’opportunità di aprirci al mondo, di uscire dalla nostra comfort zone, di fare esperienze nuove, di apprendere nuove abilità, ci diamo l’opportunità di fluire con consapevolezza nella vita perché sappiamo chi siamo e non abbiamo paura di diluirci o di perderci nel mondo. Insomma ci diamo l’opportunità di sperimentare quella che per noi può considerarsi felicità. La fiducia in noi stessi è ciò che ci mantiene integri e forti, coesi e centrati, capaci di gestire le difficoltà che incontreremo e che affronteremo con coraggio accettando di cambiare, di adattarci alla vita, di evolvere.
Quando invece è la paura a predominare nella nostra vita, cercheremo di piegare il mondo al nostro volere, esercitando su ogni parte della realtà un controllo costante, che priverebbe la nostra vita di quel tanto di imprevedibilità che ci serve a sviluppare nuove doti, a fare esperienze inaspettate, o a riscoprire i nostri talenti sopiti. Il coraggio, infatti, è una reazione alla paura: “Nel coraggio facciamo soltanto ciò che la paura ci impedirebbe di fare: e in tal modo lasciamo che la paura limiti le nostre possibilità d’azione – le quali, altrimenti, sarebbero migliaia in ciascun istante della nostra giornata”.
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Federico Piccirilli
Psicologo, Psicoterapeuta
Terapie Brevi
Terapia a Seduta Singola
Ricevo a Monterotondo (RM) e ONLINE