Il Natale e le sue mille magie… luci accese in ogni casa e in ogni balcone, palline colorate, decorazioni classiche e originali, comprate o artigianali, musiche delicate ricche di parole importanti; regali, riti, tradizioni, pranzo, sorrisi, gentilezze… eh già, perché si sa, a Natale si é tutti un po’ più buoni.
Ogni anno si inizia sempre prima a sentire “la magia del Natale”, a volte la si protrae così tanto che quasi svanisce. Si crea un’atmosfera gioiosa e si dà per scontato che, attraverso questo scenario festoso, si sia anche più felici.
Ma è sempre così? No, non è sempre così… E allora ho pensato all’altra faccia del Natale, quella in cui le luci non si accendono, quella in cui le luci puoi spegnerle…
Molte delle persone che vengono da me nel mio studio di psicologo a Monterotondo o che mi richiedono una consulenza online non mi descrivono l’arrivo del Natale con entusiasmo, anzi, molti ne sono preoccupati, altri infastiditi. L’apparenza inganna e, nonostante le luci emanino bagliore in ogni dove, spesso le persone sono spente dentro.
Ma perché l’arrivo delle festività natalizie non sempre dona serenità? E’ un problema? Se lo chiedono in molti, perché, fondamentalmente, accade sempre così quando “tutti” sembrano felici e noi non lo siamo. Ci sentiamo diversi, sbagliati, problematici…
Apparenza vs realtà
Non solo nell’atmosfera natalizia, ma in generale, nel quotidiano, spesso pensiamo che gli altri abbiano una vita migliore di noi e che gli altri, a differenza nostra, vivano felici o che, nonostante le difficoltà sappiano andare avanti in maniera più efficace rispetto a noi. C’è una frase che mi piace tanto di una fotografa vissuta nei primi anni del novecento, Margaret Bourke White, che dice più o meno questo: “Non credo esista una vita migliore delle altre, esistono solo vite diverse”.
Una verità semplice, talmente semplice che troppo spesso dimentichiamo e, quando ce ne dimentichiamo, ci fermiamo a sospirare pensando che per gli altri è sempre tutto in discesa. Tra le cose dimenticate, quelle che se solo ce ne ricordassimo più spesso ci farebbero stare meglio, c’è il fatto che ogni dolore, ogni sofferenza così come ogni gioia non è mai assoluta e che dovremmo smetterla di cucire addosso agli altri aspettative e soluzioni di felicità. Perché quel che per noi è fonte di benessere non lo è necessariamente per gli altri. E questo vale anche con la tristezza, naturalmente.
Quindi l’atmosfera natalizia può recare tristezza a te come a chiunque altro e se questo avviene non è “un problema”, semmai è un dono. Infatti la tristezza è un’emozione fondamentale e forse la più funzionale nel processo di maturazione, in quanto ci confronta con i limiti che ci separano da ciò che riteniamo positivo e piacevole, ci confronta col senso di realtà. La tristezza ci parla spesso di rinuncia, di dolore, della necessità di lasciare andare, e soprattutto, del senso di mancanza. Accogliere questa emozione ci dà l’opportunità di elaborare il dolore, di comprenderlo in profondità. Dopotutto, anche i momenti di grande tristezza sono importanti e molti di loro non solo ci aiutano a maturare, ma costituiscono quell’insieme di lezioni che ricorderemo a lungo.
Il dono della tristezza sotto l’albero
Si può essere tristi, nonostante l’atmosfera natalizia, perché i nostri cari, che ci hanno lasciato, non sono più seduti attorno alla tavola di Natale, non formano più il cerchio intorno al quale ci accomodavamo in quei giorni di festa, hanno lasciato il loro posto vuoto. La loro assenza cattura la nostra attenzione. In questo periodo più che mai. Anche se non vogliamo ammetterlo nemmeno a noi stessi. Si può essere tristi, nonostante le luci, i regali e il tepore di un caminetto acceso, perché dentro di noi può spirare il gelo del dolore e della solitudine, ed anche se ciò per noi è profondamente spiacevole, ha anche la funzione di comunicare il nostro disagio all’esterno. Quindi può, in questo caso, sia fungere da richiesta d’aiuto, sia da segnale, che sottolinea che necessitiamo di un clima rispettoso della nostra necessità di isolarci per un po’.
La tristezza è un’emozione primaria che invia un messaggio, informandoci che qualcosa o qualcuno di importante, per noi, è stato perso. Più una persona o una cosa è stata significativa, tanto più la perdita ha aperto una cicatrice che la persona deve, con il tempo, cicatrizzare. Che sia un oggetto o una persona ciò che viene perso, la tristezza chiede di piangere tutte le lacrime di cui abbiamo bisogno. Perché, forse non lo sai, ma non esprimere il dolore, provoca un dolore ancora più forte. Ed è imperativo rispettare una persona che prova dolore e non invitarla a fare finta di nulla, come purtroppo capita spesso. Questo rispetto non solo ce lo deve chi ci sta intorno, ma lo dobbiamo anche noi a noi stessi.
Per chiudere col passato, bisogna essere presenti in sé e non c’è emozione più adeguata della tristezza, per concentrarsi sulla gravità degli eventi, dato che la tristezza ci fa stare coi piedi pesantemente radicati a terra e ci obbliga ad intraprendere la strada dell’introspezione. Inoltre, attraverso il pianto, possiamo liberarci dalla sua pesantezza e permettere ad uno spazio vuoto di emergere dentro di noi. Questo spazio vuoto, dove il tempo si ferma, è prezioso: contemplandolo ci permettiamo di entrare in contatto con la nostra vera essenza e prepariamo allo stesso tempo il terreno ad una nuova semina fatta di incontri, progetti e comprensioni. Si tratta di uno spazio nuovo, sgombro da tutto ciò che non serve più nella nostra vita, chi ci incentiva a ripartire su delle basi nuove e più solide. Un nuovo albero, forse momentaneamente spento, ma sempre verde…
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Buon vento 😉
Federico Piccirilli
Psicologo, Psicoterapeuta
Terapie Brevi
Terapia a Seduta Singola
Ricevo a Monterotondo (RM) e ONLINE