C’è un forte paradosso linguistico nella parola accettare, significa sia accogliersi che darsi un’accettata, ovvero farsi male. Infatti è con questa ironica antitesi che molte persone vivono “l’accettazione”, alcuni si accolgono o accolgono quello che accade intorno a loro, altri si infliggono dolore.
E’ questo quello che penso spesso quando ricevo le persone nel mio studio di psicologo a Monterotondo o quando svolgo sedute online. Non è facile riuscire ad accettarsi completamente. Spesso diverse parti di noi (fisiche, emotive o mentali) sono molto lontane dagli standard della società e questo ci fa sentire “strani”, “diversi”, “fuori luogo”.
La normalità è sentirsi a proprio agio nella propria pelle
Dobbiamo compiere un grande lavoro di pulizia interiore per imparare a conoscerci davvero e a non confonderci con gli ideali che il mondo vorrebbe che incarnassimo.
“Un fiore selvaggio non dovrebbe dire a una rosa che è la più bella e un soffione non dovrebbe scusarsi con gli alberi se al primo colpo di vento ha perso la sua corolla. Fioriamo tutti in modo unico e originale” dice Fabrizio Caramagna.
Vivere nella costante preoccupazione di essere belli, apparire più giovani, inseguire maggiori successi, in una corsa all’auto-miglioramento perpetuo e costante…
La nostra società ci impone questo e ce lo mostra ogni giorno attraverso svariati mezzi di comunicazione, facendoci dimenticare che la tensione verso la perfezione spesso nasconde la non accettazione della propria natura più autentica. Questo rischia di rendere vani ed effimeri i traguardi raggiunti. Accettare sé stessi così come si è, con i propri pregi e difetti, non è debole autoindulgenza, ma la saggezza di riconoscere che l’imperfezione è ciò che ci rende unici, autentici, ciò che ci rende persone.
L’arte giapponese del kintsugi si rifà a questa concezione: la bellezza autentica non è quella dell’oggetto nuovo, privo di difetti e sbavature: un oggetto nuovo è uguale, identico a tutti gli altri oggetti. Ma le sue crepe, quelle accumulate nel tempo, saranno uniche perché frutto della sua storia. Per questo i giapponesi valorizzano quelle crepe con dell’oro, perché così facendo danno a quell’oggetto un nuovo concetto di bellezza: quella derivata dalle nostre ferite esteriori ed interiori, dalle quali abbiamo tratto la forza e il modo di vedere il mondo che abbiamo oggi…
Tra luci ed ombre
Quelli che riteniamo essere i nostri errori o i nostri difetti possono rappresentare un’opportunità di crescita e di esprimere una propria creatività innata, accettare le “crepe” significa accettare l’imprevisto, quell’inciampo che fa deviare le cose dal percorso che ci eravamo immaginati e fare di ogni difficoltà un’opportunità di cambiamento. Molte delle invenzioni e delle scoperte che hanno fatto la storia sono nate da imprevedibili “errori”: dalla penicillina alla colla “difettosa” dei post-it!
Quasi ogni volta che ci condanniamo per i nostri errori o difetti attribuiamo a quell’errore, a quella nostra mancanza, non l’esito di un singolo comportamento, o di uno specifico evento, ma prendiamo questo “incidente” a pretesto per mettere in discussione tutto il nostro valore personale.
Ma allora come si esce dalla trappola? L’autoironia può essere un buon modo per “sdrammatizzare”, assumere un atteggiamento di benevolenza verso noi stessi e mettere una sufficiente distanza emotiva dalle nostre imperfezioni. Imparare insomma a starci “simpatici” anche per i piccoli e grandi difetti che ci caratterizzano può essere un ottimo modo per iniziare a riconciliarci con noi stessi.
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Buon vento 😉
Federico Piccirilli
Psicologo, Psicoterapeuta
Terapie Brevi
Terapia a Seduta Singola
Ricevo a Monterotondo (RM) e ONLINE