C’è una frase latina che recita: “Memento mori”, che letteralmente significa “Ricordati che devi morire”. Massimo Troisi in una celebre sua battuta direbbe: “Si si, mo me lo segno”, eppure questa frase all’apparenza lugubre e spaventosa racchiude un importante significato.
Ma come mi è venuta l’idea di scrivere un articolo sulla morte?
Perché facendo una breve statistica sia delle persone che ricevo nel mio studio di psicologo a Monterotondo sia di quelli che ricevo online, mi sono accorto che si parla poco della morte e che questo tabù crea molteplici paure nelle persone. E quindi ho pensato: in un mondo che fatica sempre di più a vivere la morte, ad accettarla, ad accoglierla come parte della vita, è bene seminare consapevolezza, non per far venire angoscia ai miei lettori, ma per aiutare le persone a trarre il massimo dalla loro vita.
La morte interessa tutti, è un tema che ci riguarda da vicino non solo perché ognuno è destinato a morire, ma anche perché è una compagna di vita che ci appare spesso durante la nostra esistenza: tutti, prima o poi, affrontiamo lutti di persone care e questi accadimenti scavano nel profondo della nostra interiorità.
Ognuno di noi ha una sua percezione della morte, infatti il tipo di educazione, le esperienze infantili, la storia di vita, il temperamento, la personalità possono influenzare il modo con il quale ci rapportiamo alla morte, in tutti i suoi aspetti. Proprio perché essa è nella quotidianità dobbiamo iniziare a dialogare con la morte e con i suoi misteri, per giungere al momento della nostra dipartita pronti, consapevoli, veri, proprio come facevano gli antichi.
L’ancestrale paura della morte
Sin dall’alba dei tempi la morte ha avuto un ruolo centrale nelle dottrine religiose e nel pensiero filosofico. Secondo Epicuro, filosofo greco nato nel 341 a.C., c’era un solo obiettivo adeguato per la filosofia: alleviare le ansie degli uomini causate dalla nostra onnipresente paura della morte. Infatti secondo l’epicureismo la visione spaventosa della morte interferiva con il godimento della vita e intaccava ogni forma di piacere.
Epicuro sosteneva che la nostra condizione di non essere dopo la morte è la stessa nella quale ci trovavamo prima della nascita. Pertanto, dato che quel che è disperso non percepisce, e qualsiasi cosa non percepita per noi è il nulla, allora dove sono io, non è la morte, dove è la morte non sono io. Perciò perché temere la morte se noi non la possiamo mai percepire?
Non avremo mai la certezza che questa sia una soluzione, ma è sicuramente una delle tante interpretazioni che può rendere leggero il pesante tema della morte, permettendoci di sfruttare la pienezza della vita.
Tiziano Terzani disse: “Quand’ero ragazzo la morte era un fatto corale. Moriva un vicino di casa e tutti assistevano, aiutavano. La morte veniva mostrata. Si apriva la casa, il morto veniva esposto e ciascuno faceva così la sua conoscenza con la morte. Oggi è il contrario: la morte è un imbarazzo, viene nascosta. Nessuno sa più gestirla. Nessuno sa più cosa fare con un morto. L’esperienza della morte si fa sempre più rara e uno può arrivare alla propria senza mai aver visto quella di un altro”. Infatti, non a caso nel ‘600, nell’ordine di clausura dei frati cistercensi, i monaci si ripetevano spesso tra loro la frase “memento mori” e addirittura scavavano un po’ ogni giorno le loro tombe per tenere sempre presente la loro morte e non perdere il significato della vita.
Ricordare la morte per celebrare la vita
La frase “memento mori” è infatti un invito a riflettere sulla brevità della vita e sulla vanità delle ambizioni umane. La società odierna non ama pensare troppo alla morte e preferisce vivere al di fuori di essa, perché la considera qualcosa di troppo deprimente o morboso per la sensibilità attuale.
Ma ricordare, di tanto in tanto, la frase latina “memento mori”, come facevano i monaci del ‘600, può diventare un inno alla vita. Essa ci incoraggia a smettere di sprecare le nostre vite perseguendo gli obiettivi di altre persone, accumulando beni materiali o preoccupandoci di questioni banali. In definitiva, può motivarci a fare il primo passo per iniziare a vivere come vogliamo veramente, in modo che alla fine della strada non abbiamo rimpianti. Quello che memento mori ci dice veramente è: memento vivere!
Essa ci ricorda che moriamo un po’ ogni giorno, quindi dobbiamo cominciare a distaccarci da tutte le cose banali e dalle ambizioni mondane. Quel promemoria ci aiuta a vedere il piacere e il dolore con occhi diversi. Ci incoraggia a lasciarci alle spalle le nostre paure, preoccupazioni e dubbi. E ci spinge a liberarci delle abitudini che ci impediscono di alleggerire il peso che portiamo.
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Federico Piccirilli
Psicologo, Psicoterapeuta
Terapie Brevi
Terapia a Seduta Singola
Ricevo a Monterotondo (RM) e ONLINE