Abbiamo una paura fottuta di scomparire.
Affidiamo il nostro io a tutto ciò di materiale che può renderci non eterni (in fondo non è che ce ne freghi più di tanto), ma visibili: foto, regali, oggetti, ricordi.
È un’esigenza naturale, legata all’incognita della morte e al conseguente dubbio che ciò che facciamo, ciò che siamo, possa risultare vano. È da qui che parte il concetto di Dio , e in fondo (senza alcuna velleità di carattere religioso connesso alla fede, che è materia diversa e di tutto rispetto) la trasposizione di quell’idea su di noi.
Scomparire … spegnersi …
Oddio, e se succedesse quando si scarica la batteria del telefono?
L’ossessione che da sempre assilla l’uomo ha trovato soddisfazione e concretezza nell’oggetto più indispensabile, irrinunciabile della nostra vita.
Possiamo vivere senza un amore, senza affetti, ma non senza telefono. E il bello è che non si tratta di una dipendenza in qualche modo superabile o guaribile, ma di un’oggettiva necessità. Senza uno smartphone collegato al web è impossibile cercare un lavoro, svolgere il medesimo, accedere al proprio conto, conoscere l’andamento scolastico dei propri figli. Era ovvio che pure la nostra esigenza di apparire finisse lì dentro!
Era altrettanto ovvio che l’apparenza si trasformasse in ossessione.
ESSE QUAM VIDERI, ha detto qualche saggio. ESSERE PIUTTOSTO CHE APPARIRE.
Sì, avrei voluto vederlo oggi! Facile fare i fenomeni in un’epoca in cui tik tok e instagram non esistevano!
Ora siamo letteralmente bombardati di apparenza, soprattutto becera, di bassissima qualità, spesso addirittura orribile, ma non importa, la ingurgitiamo, come il cibo spazzatura, trasudante di grassi, di aria fritta, di “correttori di sapidità”, che poi altro non è che una presa per i fondelli per dire “sale come se piovesse”!
L’apparenza è modificare la propria fisionomia attraverso filtri su filtri; volti tutti uguali, con la pelle a culo di bambino e la bocca a culo di gallina (cosa che dovrebbe quanto meno far venire un ragionevole dubbio sul reale effetto finale del risultato).
L’apparenza è fare i divi, il Vippini, attraverso la condivisione di momenti di vita e di cavolacci propri di cui, scusate la franchezza, non frega un piffero a nessuno. Sì, però tutti li guardano, quei cavolacci nostri, e questo ci basta. Un tempo questo era appannaggio dei personaggi famosi, attori, modelle, regine e re dei salotti che contano, quelli inseguiti dai paparazzi, fotografati, filmati, stressati e strapazzati, ma felici di esserlo (perché pure allora, come oggi, se non venivi paparazzato significava che non eri un caspita di nessuno!).
Oggi siamo tutti divi, e siamo noi stessi i paparazzi di noi stessi: c’inseguiamo a suon di selfie a tavola, sul lavoro, pure al bagno! Raccontiamo con parole e immagini quant’era buono il maritozzo della colazione, piangiamo per la nonna defunta, facciamo dirette … tutto in un calderone unico, stronzate e nobili sentimenti.
Chi non ha sognato di essere al posto di “Tizio” davanti a Marzullo? Qualcuno che ti facesse domande, perché quello che pensi è importante, è degno di suscitare l’interesse ed essere conosciuto:
- Signorina, cosa ne pensa dell’attuale governo?
- Cosa sognavi da piccolo?
- Se potesse avere una bacchetta magica, chi farebbe sparire? E chi ritornare?
- Come sei diventato quello che sei?
- Hai qualche cosa che vorresti dire a qualcuno?
- La vita è un sogno o i sogni …?
Siccome però Marzullo non ci suonerà mai il campanello a mezzanotte neanche per chiederci in prestito una bustina di camomilla, ecco che ci marzulliamo da soli!
Ed ecco che l’apparire diventa essere! Ecco sbugiardato il “saggio”!
Quell’apparire dei social, è in realtà molto più vicino al nostro “essere” dello specchio del bagno e pure di quello dell’anima.
Se il nostro volto è alterato, reso quasi irriconoscibile da App che levigano e strizzano, è semplicemente la confessione che no, non ci piacciamo per niente, non ci accettiamo, abbiamo paura del giudizio degli altri, insomma, siamo fortemente insicuri.
Se mostriamo in modo ossessivo i vari momenti della nostra vita, abbiamo paura di non essere abbastanza importanti. Abbiamo paura di scomparire. Magari è perché chi abbiamo intorno realmente non si accorge di noi. Prova a riflettere e fatti questa domanda: quante volte nell’ultima settimana ti è stato chiesto “Come stai? Come va? Hai bisogno di qualcosa?”. E quante volte sei stato tu a farlo? E se la risposta è “mai”, prova a capire perché, a ricostruire che cosa stavi facendo. Scommetterei il telefono che stavi guardando il telefono!
Lo sapete che le persone che esprimono più accanitamente le loro idee politiche sui social sono quelle che nella vita reale si espongono di meno in tal senso? Non è forse anche questo indice d’insicurezza, di paura che la propria opinione non conti?
Quanti poi addirittura si rivelano! Attraverso il web diventa facile sputare il rospo. Prendere posizioni difficili da prendere e addirittura sconosciute ai nostri più stetti familiari; mandare affanculo, più o meno esplicitamente, chi mai si sarebbe osato mandarcelo; associarsi a un gruppo con il quale condividere passioni, magari segrete. Raccontare un episodio della propria vita finora taciuto perché tanto sembrava che a nessuno potesse interessare!
Leggere e ascoltare i cavoli di altri che nessuno mai si sarebbe sognato di ascoltare!
Essere finalmente Vip, spiati e paparazzati da una platea talmente vasta che neppure Marilin Monroe si sarebbe sognata!
L’apparenza coincide con l’essere. Per la prima volta nella storia dell’umanità.
Il trucco a questo punto è saper calibrare e scegliere. In fondo è questo che fanno i divi veramente divi: concedersi a gocce, lasciare un velo di mistero, una domanda non risposta, un dubbio …; e poi evitare il ciarpame.
Molliamo un po’ la presa, smettiamo di svenderci alla prima App idiota, parliamoci a voce (sembra banale, ma lo facciamo sempre meno), facciamo in modo che il nostro apporto al mondo, ora che finalmente il mondo può accorgersi di noi, sia veramente prezioso.
Attraverso il web e i social si possono dire cose interessanti, acquisire consapevolezza, notizie. Si può crescere e aiutare a crescere, migliorare in senso tanto attivo che passivo.
E soprattutto, il web, i social, come è stato fatto notare anche in una recente ed intelligente pubblicità, si possono spegnere.
Non abbiate paura, perché non scomparirete!
Andare dallo psicologo in fondo assomiglia molto al mondo dei social, in quanto si ha la possibilità di esprimersi liberamente, di sfogarsi e solleticare il proprio ego. In fondo può rivelarsi un’esperienza altamente egocentrica. Anche e soprattutto costruttiva però, dal momento che davanti c’è qualcuno in grado d’interessarsi realmente a chi sei.
Provare per credere!
Se ti va, mi trovi a Monterotondo, oppure tramite l’amatissimo etere del web.
Buon vento 😉
Federico Piccirilli
Psicologo, Psicoterapeuta
Terapie Brevi
Terapia a Seduta Singola
Ricevo a Monterotondo (RM), Fonte Nuova e Online (RM)