Passai accanto a duecento persone e non riuscii a vedere un solo essere umano.
Charles Bukowski, da Una pioggia di donne (1978)
ho letto di sfuggita questa frase postata su fb. Ci ho riflettuto molto, perché chi l’ha messa voleva sicuramente comunicare qualcosa di sé, e così ho pensato di analizzarne il significato (deformazione professionale, credo!)
Leggila anche tu con attenzione e prova a interpretarla. Anzi, proviamo a farlo insieme, poi, se ti va, condividi la tua idea con me o con chi preferisci.
È una sorta di esperimento, che potrebbe risultare piuttosto interessante ma anche divertente: partire da una frase, una scena, un’opera d’arte, una canzone, e analizzarne l’impatto sulla nostra mente nonché l’influsso che può esercitare.
Innanzitutto svincoliamo la frase dal contesto. Quest’operazione è necessaria in quanto a noi, qui, non interessa tentare un’analisi letteraria del testo, che non ci compete, bensì solo ed esclusivamente psicologica. Quindi nessuna considerazione né sull’autore, né sulla correttezza della traduzione, né sul prima o sul dopo in cui s’inserisce.
Quattordici parole, per un totale di una sessantina di lettere:
Passai accanto a duecento persone e non riuscii a vedere un solo essere umano.
Una primissima e superficiale analisi può essere la seguente:
- un individuo con una precisa e ben definita personalità e il suo disagio nel sentirsi diverso;
- la percezione degli altri come degli zombie;
- chiunque s’identifica con l’io narrante, ovvero con l’unico individuo, e ne condivide il disagio.
La sensazione che se ne ricava è quindi nell’immediato un senso di assoluta superiorità; una superiorità data sì dal percepirsi diverso ma soprattutto dalla mancanza di identità degli “altri” che gravitano intorno.
È proprio così?
No, per niente, e ora ti dimostro come questa frase può essere totalmente sviscerata e rivoltata fino a scoprirne il significato profondo.
La scelta della prima persona. Sono i verbi usati a svelarcelo: “passai” “non riuscii”. Il primo è in posizione strategica, apre la frase direttamente (Passai), così che il lettore non deve perdere neppure una frazione di secondo per identificarsi; “io” viene omesso, e neppure questo è un caso. Se infatti l’avesse scritto (Io passai), la mente di colui che legge avrebbe indugiato su quell’io, chiedendosi chi fosse, diventando così osservatore e non più attore. Alla fine dell’analisi avremo modo di tornare su questi verbi, che sono in realtà importantissimi.
Accanto. Non sfiora, non tocca, non è costretto a evitare, a chiedere permesso, a deviare dal suo cammino. Passa “accanto”. Cosa significa? Essenzialmente che nessuno lo ostacola, ma c’è anche un altro profondo significato; nessuno si accorge di lui. È come se fosse trasparente e senza corponella folla.
200. La scelta di questo numero è un capolavoro. Perché? Per una spiegazione approfondita bisognerebbe scavare nel complesso rapporto fra l’uomo e la ricerca di perfezione. I numeri, per la loro intrinseca infinità, affascinano e si rivestono di simbolismi arcaici. La cifra che definiamo “tonda”, ovvero quella che include lo “0”, è di per sé perfezione; la fine di un ciclo e l’inizio di un altro, il punto fermo da raggiungere, un qualche cosa di concluso. Qui però andiamo oltre: 10 o 100 sarebbero stati limitativi perché al concetto di
perfezione conclusa e tonda, l’autore vuole aggiungere quello di moltitudine, ovvero di un numero talmente grande che da una parte tende all’infinito (l’umanità intera) ma dall’altra sia percepibile e valutabile dall’occhio umano. Un numero che può stare in un luogo, una strada, una piazza, un grande atrio, e che quindi, per quanto ampio, non può travalicare certi limiti fisici. Per riassumere: accanto a colui che passa c’è tutta l’umanità, in una sorta di microcosmo .
Il protagonista si pone al di fuori di quell’insieme perfettamente concluso: è il 201esimo , l’unità che si stacca e fa numero a sé stante. Per comprendere è utile ricorrere a una reminiscenza scolastica: l’insiemistica. Pensiamo a 200 puntini grigi e uno rosso; il cerchio si chiude nell’insieme dei grigi e lascia fuori il diverso, il rosso, che ne resta estraneo. Cos’è però che lo distingue dagli altri elementi? È anch’esso un puntino nulla lo distingue dagli altri puntini se non il colore. E perché è di colore diverso? Perché esce dal numero perfetto, è il 201 esimo, e
come tale automaticamente escluso.
Persone. Cosa significa “persona”? ok, lo sappiamo tutti e usiamo questa parola senza pensarci troppo. È giusto così perché le parole servono proprio a questo, a definire concetti. Vale però la pena risalire alla suaorigine che cela un significato profondissimo.
Per + sonar, attraverso il suono, ovvero un trasmettitore di suoni, una specie di megafono. È riferita alla maschera che nell’antichità gli attori indossavano per amplificare la voce e farla giungere agli spettatori. La “persona” è quindi una maschera, fissa, con caratteristiche ben
definite per evidenziare il ruolo (la maschera del servo, del signore, del dio, quella comica, quella tragica). Fra tutti gli esseri viventi e senzienti è quindi ovvio che solo l’uomo possa essere definito “persona”, non perché migliore ma solo perché l’unico a indossare una maschera. Persona = essere umano.
Non riuscii a vedere. Stiamo arrivando al fulcro. È questa la parte assolutamente drammatica che racchiude la tragedia di un uomo che denuncia la consapevolezza della proprio incapacità. Per comprenderne il significato profondo non possiamo scinderla dal suo seguito:
Un solo essere umano. Abbiamo già detto sulla scelta del numero 200. Chi scrive si sente estraneo a quella perfezione, che come tale non ha bisogno di individuare al suo interno alcun elemento di spicco, nessuno che per caratteristiche prevarichi gli altri. Ecco perché nell’insieme di 200 esseri umani (persona = essere umano) neppure uno solo è diverso. Mettiamo ora insieme quest’ultima parte della frase:
Non riuscii a vedere un solo essere umano. Ecco il dramma svelato.
Non riesce. Non dice di non provarci ma di non riuscirci. Guarda ma non vede, e il limite è solo suo. In quell’immaginario luogo
dell’anima c’è un insieme perfetto di esseri umani, assolutamente identici a lui. Non vi è disprezzo, né senso di superiorità, altrimenti non si soffermerebbe a “cercare di vedere”; vi è piuttosto una sorta di ingenua invidia, quasi fosse un bambino che vede altri bambini giocare. Nessuno lo escluderebbe, nessuno lo percepirebbe diverso, ma lui si limita a restare a guardare. E siccome è incapace di superare il suo limite di autoesclusione, cosa fa? Passa. Passa accanto, senza interferire in alcun modo, limitandosi a guardare.
Domanda. Gli piace essere diverso? Porsi come 201esimo?
No. Per niente. Ed ecco che a evidenziarlo tornano i due verbi: “Passai” e “non riuscii”. Usa il passato remoto.
Non è un dettaglio da poco. Non dice “Passo e non riesco a vedere” ma “Passai e non riuscii”. È una denuncia di rimpianto, la consapevolezza di aver perso un’occasione.
Probabilmente c’è riuscito a vedere, ma troppo tardi, perché ormai è passato.
Probabilmente quella visione, che ora ha chiara, di 200 esseri umani, persone come lui, che si è lasciato alle spalle, lo tormenta al punto di sentire la necessità di inciderlo in una frase che ha tutto il sapore di una richiesta di scusa, innanzitutto a se stesso. Se potesse tornare indietro, vedrebbe, non passerebbe e si aprirebbe un varco in quel microcosmo, per entrarne a fare parte.
C’è un’ultima considerazione da fare su questa frase: il soggetto.
Come abbiamo detto è strutturata in modo che chiunque s’identifichi nel narratore. Chiunque, quindi ciascuno dei 200, ovvero dell’umanità intera.
Cosa significa ciò?
Che in questo mondo, difficile, per certi versi crudele, buona parte delle difficoltà e delle crudeltà ce le creiamo da soli, immaginandoci unici, nel bene e nel male. Siamo tutti dei 201esimi. Ognuno di noi tende a vedere gli altri come un insieme compatto, e ognuno di noi tende a volersene staccare. La frase quindi racconta duecento e una solitudini figlie dell’egocentrismo.
Che fare dunque?
Innanzitutto declinare sempre i verbi al presente, perché è l’unica dimensione che ci compete.
E poi soffermarsi a guardare, se si vuole riuscire a vedere che in realtà il colore diverso è solo un’illusione.
Siamo tutti puntini, tutti ugualmente fragili, e il colore che abbiamo è solo in funzione di come batte la luce. Puntini che messi insieme definiscono figure e prendono corpo, ma che soli restano puntini, privi di forza e in balia del vento.
Se ti è piaciuta quest’analisi, suggeriscine altre: frasi, immagini, strofe che ti rappresentano o che t’incuriosiscono e sulle quali hai voglia di metterti in gioco.
L’egocentrismo è normale e per certi versi salutare, giusto e sacrosanto. Non però quando travalica i limiti e sfocia nella patologia. Succede allora che quella umana sensazione di unicità diventi mal di vivere. È in quel momento che devi avere la consapevolezza di voler cercare un aiuto nella psicoterapia.
Buon vento, e ricorda di afferrare la mano di chi ti è vicino per non farti trascinare via.
Federico Piccirilli
Psicologo, Psicoterapeuta
Terapie Brevi
Terapia a Seduta Singola
Ricevo a Monterotondo (RM), Fonte Nuova (RM) e Online